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Didascalia:Immagini della dura, drammatica ritirata dei soldati statism dalla Runsia tratte da “La Division Julia nell'inferno russo 1942 - 1943. di Livia Boccasini (Gino Rossato Editore in Novale di Valdagno, via BellaVenezia 13/c, lire 26.000)
Nella campagna di Russia di cui 2 detto nel numero scorso, all'epilogo in una tragica serie di battaglie, di attacchi, contrattacchi e ritirate, vennero coinvolte anche, con esito disastroso, le divisioni italiane dell'ARMIR, inizialmente schierate in posizione difensiva lungo lansa del Don, in trinceramenti apprestati per resistere al freddo ed al nemico, trinceramenti che dovettero essere abbandonati proprio nel momento della loro maggior utilita, nel cuore dell'inverno, allorché, dopo la caduta di Stalingrado e lo sfondamento del fronte in quel settore, la linea italiana venne minacciata di accerchiamento e di attacco alle spalle da parte delle avanzanti armate corazzate sovietiche.
Al l'inizio del novembre 1942, la Linea difensiva italiana, attestata lungo il Don, aveva assunto il seguente schieramento, da nord a sud: presso Babka, in contatto con l'Armata Ungherese, era sistemata la Tridentina, e verso sud, in continuazione ed ininterrottamente, la Julia, la Cuneense, la Cosseria, la Ravenna, la Celere, la 27.a divisione corazzata germanica, la 298.a divisione di fanteria germanica, la Pasubio, la Torino, la 62.a divisione di fanteria germanica ed infine la Sforzesca, in diretto collegamento con l'Armata Romena, alla destra della quale si trovava la IV.a Armata germanica e la VI.a Armata di Paulus, impegnata a Stalingrado.
L'11 dicembre si scatenò una offensiva sovietica nel punto più debole dello schieramento italiano, quello tenuto dalle divisioni di fanteria Cosseria e Ravenna, non di prima linea, con armamento leggero, destinate a presidiare le retrovie ed installate in linea per ovvi motivi di necessita, dato lo strapotere sovietico in uomini ed armi. Le forze attaccanti erano rispettivamente la 6.a Armata russa e la 1.a Armata Guardie, composta da truppe scelte. Le nostre due divisioni potevano contare su due reggimenti di fanteria ciascuna, mentre le due armate avversarie disponevano di 125 battaglioni di fanteria (di cui 35 motorizzati), 754 carri armati, 300 cannoni controcarro, 200 lanciarazzi e pill di duemila bocche da fuoco tra cannoni di accompagnamento e mortai. II soldato russo era armato con il parabellum (cento colpi al minuto), quello italiano con il fucile mod. 91 (massimo 8 colpi al minuto, ma non con il gelo e temperature sotto zero).
II 12 l'offensiva investiva anche la Pasubio, ed il 16, nonostante l'intervento della 385.a divisione di fanteria germanica (inviata di rinforzo) i sovietici riuscivano a sfondare, penetrando per una profondità variabile da due a cinque chilometri nelle retrovie; il 18, la penetrazione aveva raggiunto i 20 chilometri. Il 19 le divisioni italiane ricevevano l'ordine di ritirata, a seguito dell'irruzione di carri armati sino a Kantamirowka; tutte le divisioni iniziarono il ripiegamento, salvo il Corpo d'Armata Alpino. La Julia, infatti, già il giorno 16, con un reparto di pronto intervento, aveva raggiunto il paese di Mitrofanowka, con lo scopo di bloccare lo sfondamento. Ma qui regnava gia il caos; gli uomini della Cosseria distrutti dalla fatica, dal freddo e dalla fame, continuavano a procedere verso il Donez, e non fu possibile fermarli e riordinarli per poter allestire una provvisoria e temporanea linea difensiva. Proseguendo nel suo cammino, il gruppo della Julia trovò a Ivanowka gli alpini del battaglione Monte Cervino ed alcuni reparti germanici, seriamente intenzionati a resistere. Poche, però le speranze di costituire una difesa, in quanto fino a Novo Kalitwa, dove un gruppo di fanti della Cosseria resisteva accanitamente, c'era un grande vuoto, una terra di nessuno, una falla di oltre quaranta chilometri, nella quale si riversavano uomini e mezzi sovietici, anch'essi protesi a raggiungere il Donez.
II 21 dicembre l'intera Julia si era spostata a sud, raggiungendo il vuoto dopo tre giorni di marcia nella neve, per tentare l'impossi. bile costituzione di una linea difensiva di sbarramento; il buco lasciato dalla Julia nella sua posizione originate nello schieramento alpino era stato riempito dalla Tridentina e dalla Cuneense, che avevano allargato e distanziato le Toro posizioni, ed in linea era stata portata anche la Vicenza, le cui condizioni di armamento erano uguali, se non peggiori ancora, di quelle della Cosseria e della Ravenna.
Accovacciati nella neve, impossibilitati a scavare la terra gelata, pits dura del ferro, gli uomini della Julia tennero to posizioni per un mese, fino al 16 gennaio 1943; i pasti arrivavano saltuariamente, ed ii cibo era gelato, ed andava lentamente masticato dopo esser stato tenuto in bocca per scioglierlo, il vino arrivava anch'esso gelato (veniva trasportato in sacchi e non in otri o bariletti) e doveva essere spezzettato in scaglie, che venivano religiosamente succhiate; fame, freddo, sonno, ed i sovietici che attaccavano, incuranti delle perdite, sino a diets volte nella stessa giornata. Enelfrattempo le altre due divisioni alpine potevano ritirarsi in ordine, protette da quel sottile schermo di friulani, giuliani, abruzzesi, veneti. Anche un gruppo di SS, al co- mando del Brigadeführer Fegelein (malignamente chiamato cognato del Führen, in quanto aveva sposato la sorella di Eva Braun) e la provata 387.a divisione germanica erano schierati con la Julia, e tutti insieme erano riusciti a turare e ridurre la falla a venti chilometri, ma anche 20 chilometri erano sempre tanti, troppi.
La ritirata divise in due tronconi le forze italiane, tronconi che definiremo per comodita gruppo sud e gruppo nord. II gruppo sud (divisione Sforzesca, reggimento bersaglieri. reparti di formazione composti da combattenti della Torino, della Ravenna, Celere e Pasubio), pur sostenendo duns scontri nella sua ritirata, fu fortunato, raggiunse il Donez con relativa facilita ai primi di gennaio 1943, e poi essere trasportato per ferrovia a Ràkovo.
II gruppo nord, invece, ebbe vicende abbastanza disastrose e traversie a non finite; ritirandosi, sempre combattendo, i reparti ancora efficienti erano seguiti da una massa di uomini senz'armi, i quali costituivano un peso più che un ausilio nel corso degli scontri che si susseguivano. Purtroppo, oltreché essere incapaci di difendersi, costituivano un impaccio pencil dovevano essere difesi dalle continue puntate sovietiche, che attaccavano i fianchi della colonna, prelevavano dei prigionieri e scomparivano nella notte. Questi soldati, raggiunsero il 15 gennaio la localita di Tiertkovo, da dove vennero smistati, con mezzi di fortuna, a Voroscilovgrad, e da questa localita si portarono, a piedi, a Izjum e poi a Gomel, con un percorso complessivo, tappa dopo tappa, e sempre a piedi, di circa milletrecento chilometri. In quest'ultima localita arrivarono ai primi di marzo. Mentre si verificavano questi avvenimenti, il Corpo d'Armata Alpino teneva ancora il fonte; il 13 gennaio, i sovietici attaccarono la Linea difensiva ungherese e sfondarono. Contemporaneamente, si buttarono sul Gruppo Fegelein facendolo a pezzi e sfondando nella zona di Mitrofanowka, mettendo in crisi to schieramento del XXIV Corpo d'Armata corazzato germanico, ridotto ai minimi termini, e l'intera Julia.
II 16 gennaio 1943 anche la Julia ricevette I'ordine di ripiegare, ricongiungendosi con le altre due unità alpine, ed il 17 arrivò., per I'intero Corpo d'Armata, l'ordine di ritirata. Neve, gelo, fame, temperature di 30/35 gradi sottozero, attacchi ai fianchi da parte di reparti celeri di sciatori sovietici e di cosacchi con i loro piccoli cavalli che se ne infischiavano del gelo, e piombavano sulle colonne uscendo dal nulla, colpendo e ritornando nel nulla, mentre la testa della colonna doveva anch'essa combattere, per aprirsi un varco e bloccare le colonne di carri che tentavano l'accerchiamento dei reparti italiani.
Popowka, Podgornoje, Postojali e tanti, tanti altri nomi, tanti altri paesi distrutti, non una casa in piedi, si gelava, e la colonna lasciava i suoi morti nella neve, tanti puntolini che costellavano la pianura. Tridentina in testa, Julia e Cuneense impegnate nella protezione dei fianchi, della massa disarmata, inerte senza Speranza, e dover combattere contro i carri sovietici, che incessantemente ripetevano i loro attacchi. Fu cosi che le due divisioni alpine, nella sanguinosa marcia, vennero a poco a poco dissanguandosi. perdendo la loro forza, stroncate dalle enormi perdite.
Tra il 19 e il 20 gennaio la Tridentina, sempre in testa, aveva sfondato lo sbarramento di Postojali, poi quello di Opàt, ed il 22 si apriva il cammino a Sheljakino, poi venne Warwarowka, dove, all’ennesimo scontro con i carri sovietici, prese parte anche una batteria di artiglieria a cavallo italiana, e poi venne Nikolajewka, la Tridentina all'attacco, respinta, ancora all'attacco ed ancora respinta; poi il generale Reverberi che in piedi su uno dei due superstiti carri armati germanici che marciavano con gli Alpini, urlò: Tridentina, avanti! E la Tridentina riparti in avanti, a testa bassa, e questa volta erano passati in testa anche i superstiti della Julia e della Cuneense, ancora armati, e l'attacco sembro riuscire, ma i russi resistettero con testardaggine; gli Alpini vacillavano ma ancadde i1 miracolo. La massa amorfa, disarmata, apatica dei soldati italiani che aspettava I'esito dello scontro per passare o ripiegare nuovamente, questa volta ebbe un sussulto; si mosse anch'essa, si lancio in avanti. I sovietici vennero sorpresi; poi scossi e spaventati ripiegarono; i primi Alpini penetrarono fra le case sparando, la massa italiana irruppe nel varco, i sovietici fuggirono, abbandonarono il campo.
Si pernottò fra le macerie del villaggio, ed il giorno dopo la marcia riprese, verso ovest, sempre; sembrò che di sovietici non ce ne fossero più; si procedette senza essere attaccati, e finalmente, il. 31 gennaio, a Schebekino, la colonna arrivò alle nuove, provvisorie linee germaniche. Era la salvezza, era fatta, ma la marcia non era ancora finita; rifocillati, a tappe, giorno dopo giorno anche agli uomini del Corpo d'Armata Alpino toccò percorrere altri milleduecento chilometri, sempre a piedi, ed anch'essi, finalmente, arrivarono a Gomel.
Nella prima quindicina di marzo bastarono pochi treni per rimpatriare i resti del Corpo d'Armata Alpino, mentre entro maggio venivano rimpatriati i superstiti delle altre divisioni dell'ARMIR; per portare in Russia le divisioni scomparse c'erano volute centinaia di treni! Il bollettino no 630, emesso dal Comando Supremo Sovietico, e trasmesso da radio Mosca, ai primi di febbraio, annunciava la vittoria sul fronte del Don e la caduta di Stalingrado, precisando che «soltanto il Corpo d'Armata Alpino italiano deve considerarsi imbattuto sul suolo di Russia..
E una vicenda, questa, raccontata cosi, in sintesi, per cercare di capire cosa sia stata veramente Stalingrado e la tragedia dell'Armir in Russia, oggi, a cinquant'anni di distanza, quando questi avvenimenti sono ormai dimenticati e vivono solamente nella memoria dei Reduci superstiti. Consiglio di leggere i libri «L'Armata tradita. di Gerlach, per il primo evento e «Centomila gavette di ghiaccio. di Bedeschi per il secondo. Solo dopo la lettura si potra capire quanto può soffrire un essere umano, gettato dalle circostanze in terra straniera a combattere ed a morire, eppure convinto di fare fino in fondo la propria parte per compiere il proprio dovere.
Fulvio Farba