Didascalia:Fabrizio Davoli
Fabrizio Davoli, nato a Pola, affermato imprenditore a Bologna, ha così rievocato le vicende dell'/stria in una inter-vista al Resto del Carlino: Altro che cahier de doleancés, io e i miei genitori siamo salvi per miracolo. Riuscimmo a fuggire dai campi di prigionia e a scappare in Italia solo per una serie di vicende intrecciate favorevolmente, impensabili. Ed oggi anche a nome del mio partito (Forza Italia) intendo testimoniare con forza, la persecuzione etnica degli italiani da parte dei comunisti slavi. Ricordare l'esodo dei 350 mila istriani, giuliani e dalmati che non vollero accettare l'annessione jugoslava di terre italiane e un po' come rievocare i fantasmi ma non e giusto ammantare con silenzi di comodo episodi di storia atroci, azioni di terrorismo nazionalista che niente hanno da invidiare ad ogni altro eccidio di quegli anni.
Anche not lamentiamo dei I utti in famiglia: i partigiani jugoslavi infoibarono tre cugini giovani, la cui unica colpa era quella di es-sere italiani. II cal vano inizio nel '44, quando mio padre Alessandro fu deportato prima a Buccari e poi a Fiume. Mentre era in prigionia mia madre mi portava a vederlo. Durante una di queste visite la polizia slave ci ;wresto. Avevo Bette anni ma ricordo ancora il Freddo della canna di pistola che ci misero sotto il naso. Dopo qualche mese mio padre riusci a fuggire attraverso un posto di blocco. Uno scheletro: s'era ridotto a quarantadue chili per un metro e 82. Poté mangiare solo dopo un mese e mezzo. lo e mia madre fummo rilasciati perché capo dell'Ozna dell' Istria, Picunic, aveva lavorato nella fabbrica di mio padre. Disse che una donna e un bambino potevano essere rieducati.
Non dimenticare significa dare un contributo affinché queste cose non abbiano più a ripetersi. Anche se volessi non potrei mai dimenticare l'estate del '43, l'ultima passata in Istria. Eravamo a Fasana, la nostra residenza balneare, alla periferia di Pola. Appena gli slavi vi misero piede, decapitarono letteralmente la cittadina, arrestando intellettuali, professionisti e militari, indipendentemente dalla fede politica. Abitavamo in una villa sul mare da dove si vedevano galleggiare i cadaveri mutilati, legati col filo spinato. La sorte degli italiani. anche quelli che erano conosciuti per fervidi militanti comunisti, sembrava segnata: foibe o mare. Spesso precipitati vivi, altre volte ammazzati con un colpo alla nuca. Mio padre e rimasto sull'orlo di una foiba per due giorni legato con un altro. E poi ci si chiede perché siamo scappati dall'Istria? A Pola eravamo in 60.000, tutti italiani, ne sono rimasti 2.000, quelli compromessi con Tito, delatori e pregiudicati, genre che era sempre vissuta ai margini della societa civile. Si e tentato di minimizzare dal-la pane pia ortodossa della sinistra comunista gli orrori delle foibe. Una volonta ostinata di compiacere Tito: e l'effetto ha condizionato tutti o quasi gli intellettuali italiani.
Al pari di tante altre migliaia di person all' inizio del '47 c' imbarcammo sulle navi che facevano ininterronamente la spola tra Pola e Venezia. Tutto quello che riuscimmo a portare via fu un rullo compressore e un paio di valigie. Ricordo che nella maglietta mia madre mi cuci un milione che allora era un bel po' di denaro. Ringraziavamo Dio per essere vivi. Ma le sorprese non erano finite. A Venezia ci aspettava una folla inferocita che agitava bandiere rosse e cartelli con su scritto fascisti vi rimanderemo da Tito.. Volevano picchiarci. Ricordo che sulla nave gli uomini cominciavano ad organizzarsi per difendersi. A proteggerci furono polizia e carabinieri. Una volta sbarcati i miei parenti si sparsero per il mondo: Nord America, Sud America, Australia. Noi fummo trattenuti in Italia quando giä stavamo per salpare per gli Stati Uniti. Per volere di De Gasperi, infatti, all'élite intellettuale non fu permesso di espatriare. E fu un bene per l' Italia.
Nei '46 la famiglia Davoli raggiunge Reggio Emilia; le tappe successive sono la Sardegna e la Sicilia. Mio padre non tardò a far valere la propria grinta e fantasia nel campo dell'imprenditoria edile. Insomma, poco per volta ci risollevammo. A Bologna venni nel '65 come ufficiale di complemento. Finita la naja risposi a un' inserzione sul Resto del Carlino: in un' impresa cercavano un ingegnere. Dopo tre anni mi misi in proprio.
Cerchiamo di vincere insieme, per andare avanti, gli incubi, le separazioni, i ricatti che la storia ci ha imposto. Ma non dimentichiamo i fatti storici, per rispetto verso not stessi. Per questo mi battero perché quei morti scomparsi nel buffo delle foibe e delle coscienze vengano onorati. Ci batteremo in Consiglio comunale perché a Bologna, dove non credo esista alcuna via intestata a citta istriana, possa esserci presto una piazza intitolata ai martiri della foibe.