I Luxardo del maraschino - Anteo Lenzoni – foto

Didascalia - Nicolò Luxardo De Franchi I Luxardo delMaraschino Libreria Editrice Goriziana € 16,50 Immagine di Joseph Jakob von Plenk, tratta dal libro “Alberi del Friuli Venezia Giulia segreti e virtù curative” di Franco Fornasaro, ed. Magnus Il libro di Luxardo de Franchi, che narra le vicende del suo casato, può definirsi come la saga della famiglia, anche se la descrizione delle vicende non appare romanzata. Fu Girolamo Luxardo, nato a Santa Margherita Ligure nel settembre 1784, undicesimo e ultimo figlio di una famiglia operosa in diverse attività imprenditoriali, a creare l’omonima industria di liquori divenuta celebre in tutto il mondo. A 22 anni Girolamo si recò per affari a Trieste ove incontrò un certo Belletti che gli fece conoscere un liquore dolce, il rosolio, proponendogli di commercializzarlo in Liguria. Nel 1820 Girolamo visitò Zara, dove alcune piccole distillerie a conduzione familiare producevano il rosolio, ricavato dalle marasche che crescevano abbondanti nella zona. Istallatosi in città iniziò a fabbricare il liquore che chiamò Maraschino. Il maraschino si affermò in numerose esposizioni internazionali, ottenendo importanti riconoscimenti, attestazioni e medaglie. L’imperatore d’Austria gli assegnò la più prestigiosa onorificenza nel campo industriale. L’8 settembre 1865, a 81 anni, Girolamo morì. A prendere il suo posto fu il figlio Michelangelo Nicolò, chiamato Nicolò I, che diede un nuovo corso all’azienda. La Luxardo arrivò fino a Mosca, in Georgia, nel Caucaso, in Cile, in Perù diventando fornitrice delle Case Imperiali d’Austria, della Baviera e della Danimarca. Nicolò fu nominato Cavaliere dell’ordine di Francesco Giuseppe e decorato con la Croce d’Oro al merito. Dal regno di Sardegna e da quello delle due Sicilie venne nominato vice console per la Dalmazia. Nel 1871 la produzione era di 150.000 bottiglie, prodotte da una propria vetreria. Nicolò I fu attivo nel campo sociale in favore della comunità e degli strati più poveri della città. Nel 1875 l’Imperatore Francesco Giuseppe, visitando la Dalmazia , a Zara volle vedere la fabbrica dove, parlando in italiano, manifestò il suo plauso. Il 7 dicembre 1882 a 68 anni Nicolò I morì. Gli succedette il figlio Demetrio che come il padre si distinse anche nella vita pubblica. Esperto conoscitore dell’arte della distillazione diede un ulteriore impulso al successo dell’azienda e al nuovo corso internazionale promosso dal genitore. Demetrio morì il giorno di Natale del 1906. Gli subentrò il fratello Michelangelo, diplomato all’Accademia di commercio triestina, amministratore pubblico, filantropo, assertore dell’italianità di Zara, fondatore della Lega Nazionale, Console dell’Argentina. Con lui collaborarono i figli Pietro, Nicolò e Giorgio. Il 28 giugno 1914 a Sarajevo furono assassinati il granduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria, e la consorte Zita. L’Austria dichiarò guerra alla Serbia e Nicolò II, temendo di essere chiamato alle armi e adducendo necessità per l’industria, chiese ed ottenne il passaporto per l’Italia. Il 9 gennaio sbarcò ad Ancona e non fece più ritorno a Zara, si trasferì a Roma dove frequentò circoli interventisti. Entrata in guerra l’Italia, si arruolò volontario. Fu assegnato al 20° Reggimento di Cavalleria e inviato al fronte. Come tutti gli irredentisti volontari assume un altro cognome : De Franchi. Sul Carso, dopo Caporetto e sul Piave partecipò a rischiose operazioni venendo ferito due volte. Operò anche nel servizio informativo. Il 7 novembre 1918 il capitano De Franchi, venne decorato con due medaglie d’argento. Sbarcò a Zara con il Cacciatorpediniere PN 1 come addetto allo Stato Maggiore del Comando Navale Marittimo e il 4 giugno 1919 venne congedato. Assegnata Zara all’Italia, Michelangelo e i figli Pietro e Giorgio ripresero l’attività interrotta negli anni di guerra. Nicolò scelse l’impegno politico-amministrativo, dapprima con incarichi locali, coronati - nel 1939 - dall’elezione al Parlamento della XXXa Legislatura. Nel 1940 l’Italia entrò in guerra, che si concluse con l’ignominioso armistizio dell’8 settembre 1943. Da quel momento ebbe inizio la cupa e dolorosa stagione dei Luxardo. Zara, protetta dalla cinta fortificata, venne circondata dai partigiani titini che, la mattina del 9 settembre chiesero di entrare in città, ma un comitato cittadino, al quale partecipava anche Pietro Luxardo, si oppose. Non poterono però opporsi a un reparto tedesco che il pomeriggio del 10 occupò Zara,mentre gli Stukas la sorvolano a bassa quota. I tedeschi istallarono il comando nell’ ex casa littoria, innalzando la bandiera del 3° Reich, ma sulla Prefettura e sul Municipio continuò a sventolare il Tricolore, fino alla mattina del 31 ottobre, quando i partigiani jugoslavi occuparono la città, evacuata dai tedeschi, dando assicurazione al comitato cittadino che tutto si sarebbe svolto pacificamente. Invece, all’acclamazione esultante di zivilla sloboda, ebbero inizio: arresti, deportazioni, fucilazioni e altri atti di barbarie. Pietro Luxardo scomparve e di lui non si seppe più nulla. Era il solo dei tre fratelli rimasto a Zara; Giorgio si era trasferito a Trieste per seguire l’azienda. Il 21 novembre del ‘43 a Zara ebbero inizio i bombardamenti alleati che, oltre alla distruzione della fabbrica, rasero al suolo la città. Le famiglie di Pietro e Nicolò l’abbandonarono dirigendosi in Istria con una barca. Il 1° febbraio approdarono a Selve (Silba) a metà strada tra Zara e Lussino. La tranquillità della isola, l’assenza di partigiani e la possibilità di avere notizie indussero Nicolò e sua moglie a fermarvisi. Gli altri proseguirono, sbarcando a Veruda (Pola) raggiunsero Trieste. In giugno a Selve arrivarono i partigiani; Nicolò e la moglie furono condotti a Sale, nell’isola Lunga (Dugi Otok) e interrogati dal Comandante partigiano vennero rilasciati con l’ordine di non allontanarsi. Il 30 settembre una barca li riportò al Comando dove vennero riconosciuti. Da quel momento Nicolò e sua moglie scomparvero nel nulla. Alcuni giorni dopo il Parroco di Sale seppellì nella pietrosa terra i cadaveri di un uomo e di una donna ricuperati dal mare. Zara era ridotta in macerie, Pietro e Nicolò scomparsi, la fabbrica distrutta e gli abitanti sfollati. Ma la fine della città non segnò la fine del Maraschino. Come la Fenice che risorge dalle sue ceneri, così dalle rovine rinacque l’attività della Luxardo, ne furono artefici Giorgio, unico fratello superstite e Nicolò III figlio di Pietro. Non fu facile superare gli intralci burocratici, scovare i plagi del marchio, reperire i finanziamenti e fare fronte all’ostilità dei “compagni rossi”. Una sera,mentre Nicolò rientrava a Padova dalla fabbrica in costruzione, una compagna lo riconobbe e al grido “el xe lù”, “el fassista” venne malmenato pesantemente. La nuova fabbrica rinacque a Torreggia sui Colli Eugenei dove vennero piantati 35.000 alberi di marasche. Una decina di dipendenti riprese il lavoro di distillazione. Tra loro si distinse il fedele capofabbrica che aveva conservato le ricette segrete del prezioso liquore. L’avvio fu promettente e le caratteristiche bottiglie impagliate in breve tempo riconquistarono i mercati. Le fortune della Luxardo, affidate alla sesta generazione, erano nuovamente in buone mani. Anche Nicolò Luxardo De Franchi, come i suoi predecessori, si impegnò nel sociale. A Padova, nel 1958, costituì il Gruppo Giovani Industriali. Si attivò nella Confindustria, divenendo Presidente della Commissione Industria, Artigianato, Commercio; fu eletto membro del Cnel; nonché Presidente della Società Dalmata di Storia Patria. Per i suoi meriti, nel 1962, il Presidente della Repubblica gli conferì l’onorificenza di Cavaliere cui fecero seguito tutte le altre classi dell’Ordine al Merito della Repubblica fino a quella di Cavaliere di Gran Croce. A.L.

Dal numero 3261

del 31/05/2005

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