Dal Canada con amore Sensazioni d'un ritorno a Pola - Uccia Ivis Superina - foto

foto Seconda parte Una mattina presto, alle 8, eravamo già a Monte Ghiro. Inaspettatamente pioveva ed è stata l'unica giornata bagnata di tutto il mio soggiorno in Italia. La tomba dei nonni, il viale fiancheggiato da cipressi sempre più alti e maestosi; i monumenti familiari. Mi aveva sempre colpito da bambina, quello dell'aviatore con l'ala spezzata, davanti al quale mi fermavo, stringendo forte la mano del mio papà. I nostri quieti cimiteri, con la loro atmosfera cosi diversa da quelli Canadesi, per esempio, e che furono parte delle nostre consuetudini; perché portare regolarmente un fiore ai nostri morti era parte della nostra vita. I miei figli non sanno cosa sia tutto ciò, sono cresciuti lontani, in un ambiente diverso, estranei a queste cose. E finora qui, non abbiamo nessuno. Fin'ora. La Dante Alighieri. Sono in corso lavori di restauro interni. Nel cortile, dei giovani, a gruppetti, stavano chiacchierando e ridendo. Quel nostro cortile, dove furono fatte tutte le foto delle nostre classi. Tentai di salire, ma mi fermarono; allora spiegai la ragione della mia visita e ricordo ancora il luminoso sorriso di quella persona, gentilissima, che si offri immediatamente di accompagnarmi per le classi. Che grandi erano, che luminose, che mura grosse. Le mura che hanno sentito le nostre voci, i nostri canti, le nostre recite di Natale e che sono state affumicate dal fumo delle stufe durante l'inverno. —Ora i pavimenti nei corridoi sono tutti di marmo, stavano coprendo l'ultima sezione verso la scala e ho potuto vedere, di sotto, quelli che erano gli originali, di pietra, bianca e scavata. Anche la scala, mi ha spiegato (era l'incaricato dei lavori) sarà rifatta e ricambiata, perchè malsicura. Necessità del tempo che passa. E cosi la nostra Pola è cambiata, inevitabilmente, anno per anno. Solo dentro di noi la vediamo sempre uguale, com'era, ed è un ricordo che ci è tanto prezioso. Ho visto angoli vuoti. Anch'io mi sono chiesta, come Marisa Rimbaldo nel suo racconto dell'anno scorso dove e come sia finita la casa d'angolo di via De Franceschi e Metastasio dove c'era un commestibili. A proposito, vorrei chiedere dove è finita la casa di Rimbaldo, «el cucer» che spesso mi portava a casa alla sera dal mercato, dopo che papà aveva chiuso bottega? Le case Volpi sono «ridotte» pure, roba nuova qua e là. Le case Boris, dove abitava il nostro De Simone se non mi sbaglio, sono sempre li, malandate. Mi hanno fatto tanta tristezza gli alberi che fiancheggiano la via e che ho visti piantare, sarà stato nel '33 o '34. Erano belli e rigogliosi nel '69 quando li ho visti l'ultima volta; ora sono decimati e tagliuzzati perché o troppo alti o troppo vicini alle case. Coprono praticamente tutta la facciata della mia casa, solo la finestra della camera dei Castagna —Tonino, ricordi?— è visibile. —E cosi ho vagato, di qua e di là, quando non ero sequestrata dai miei zii. Che emozioni, che tenerezza, riabbracciarli. Ma non dirò di più, sarebbe troppo lungo. Ho riportato da questo viaggio di ritorno, un senso di sollievo, di pace. Quella Pola che si trovava per me, come in una specie di nebulosa, e che nella mia immaginazione mi faceva un senso vago di paura, è in realtà una città come tante altre; ci cono tante corriere, ci sono tanti taxi e bene o male tutto funziona. Al mercato sono sempre le verdure e tanti... fichi. È come se avessi passato finalmente un lungo ponte e ora so cosa mi aspetta dall'altra parte. E passato quel ponte una volta, si è tentati di rifarlo ancora; il desiderio di tornare, di vedere di più, tutto quello che si è visto in fretta. Il tempo non è mai abbastanza, quando si è li. Molto è cambiato, molto è ancora uguale, certe strade i monumenti. Almeno per me non potevo avere il ricordo di Pola che può avere Corinna, che l'ha lasciata dopo aver visto e sofferto lo strazio dell'esodo. Io ho solo il ricordo dolcissimo che può avere un bimbo; non ricordo tutti i nomi dei negozi, ma solo quelli che erano importanti per me: Baldini con le sue bambole e Pancirolli coi suoi bei vestitini. Non penso a com'erano vestite le eleganti signore che sedevano nei caffè, e le paragono poi alle sempliciotte donnette che probabilmente popolano le strade di Pola ora. Per me, la felicità consiste solo nell'essere tornata. Sospeso nell'aria, ho ritrovato il profumo delle titole che mi aspettavano a casa della nonna per Pasqua, quello della panna montata di quella latteria vicino al mercato — mai più sentito uno uguale — quello dell'incenso della chiesa della Madonna durante le funzioni di maggio. Il profumo dei tanti mazzetti di viole e ciclamini raccolti in Siana e che orgogliosamente portavamo a casa per metterli in un bicchiere. E sparisi e bruscandoli e odore di rustiche frittate. E i fichi, come non ricordare quei fichi con la «iozza«! Qui in Canada costano un dollaro l'uno e sono acerbi. Ne ho comprati tanti al mercato e ho pulito l'albero nell'orticello di mio zio in via Muzio, prima di partire. Mi sono portata dietro anche un pomo-granà. «Speta che te dago qualcossa» mi disse e spari di nuovo nell'orto. (Ha passato i novant'anni) Ero già sulla porta, quando arrivò recando sul palmo della mano questo frutto, rosso, maturo e me lo offri come fosse un gioiello. Lo era per me. Ma il regalo più prezioso è stata una piantina di rosmarino, messa in terra in un bicchiere di plastica e che ha viaggiato con me da Pola a Laurana e a Trieste per il raduno, cercando una boccata d'aria fresca dove ha potuto e arrivando a Toronto sul fondo della mia borsa da viaggio. In barba alla dogana Canadese, ben sigillata in un sacco di plastica perchè il suo profumo non la tradisse e non mi mettesse in un sacco di guai. Rigogliosamente cresce ora sul mio balcone, trapiantata, come me. Uccia Ivis Superina

Dal numero 2557

del 24/09/1988

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