Discorso pronunciato da Mario Zanna a Grado per l'inaugurazione del mimo a ricordo degli esuli. A nome degli ex allievi degli Istituti Magistrale ed Agrario el: Parenzo, ringrazio, con animo commosso e grato, il sindaco dott. Zanetti e la civica amministrazione della città di Grado per averci concesso, con vivo senso di fraternità, la collocazione di questo masso istriano accanto alle antiche pietre della loro storia, che è anche la nostra. Un masso che in sul calar dei nostri giorni consentirà a noi, ancor viandanti, di sostare, di confidare a questa pietra, a dirle quanto urge dentro d'amore e d'affetti. Qualcuno si domanderà o si sarà domandato il perché di questa scelta a Grado ed il perché di una pietra. Ma certo non poteva essere che Grado perché Grado é come noi, è come Parenzo, Pirano, Rovigno, Capodistria; come Montana, Pisino, Albona e Cherso; é come ogni luogo dell'Istria e della Dalmazia venete perché nei millenni di storia nostra abbiamo parlato la stessa lingua, perché nel rito patriarchino abbiamo cantato le lodi all'Altissimo, perché abbiamo battezzato i nostri figli ed abbiamo seppellito i nostri morti, perché loro come noi abbiamo avuto sacro «el fogoler» ed i penati. Gli scambi di vita tra noi furono sempre schietti ed onesti e lo ricorda bene il Vate gradese quando descrive la sua venuta da bambino ad Or-sera in compagnia del padre, in giro d'affari. Ed il perché della pietra? Ma la pietra rispecchia l'essenza dell'Istria. Certo le pietre non sanno dire, ma parlano, parlano come il mare, come il cielo, come i fiori dei campi con la voce che è al di là del tempo e solo chi sa ascoltare col cuore sereno e la mente chiara comprende e vive il racconto che par un mito, ma che in realtà è la vita nella pienezza della sua esistenziale bellezza. La pietra, questa pietra giunta da Valle d'Istria ci parla dei nostri contadini che con mani sapienti ridussero
un aspro sito in terra torace di viti e d'ulivi, ci racconta dei nostri pescatori, dei nostri marinai che con le superbe navi portarono nel mondo lo stile di un indomito coraggio, rammenta i nostri «taiapiera» che innalzarono la superba arena e portarono in mille città il segno di un'arte incomparabile. Essa è la voce dei nostri preti che nelle nostre cattedrali, come nella piccola chiesa di Santa Agnese di Arcelle sul Quarnaro, esaltarono il Verbo della salvezza; é la voce dei nostri Picciolo, Fachinetti, Besenghi degli Ughi, di Tartini e Dalla Piccola, di Francesco Patrizio e Bernardo Benussi, di Domenico Lovisato e Ruggero Boscovich, dei martiri nostri da Sauro a Norma Cossetto. Sono la nostra storia, sono la nostra vita d'oggi che in loro si specchia ed m loro si alimenta. Le tre parole incise su questo masso tutti li ricordano, contadini e marinai, poeti e scienziati. Ignorarlo sarebbe la più vile di tutte le trasgressioni contro l'umanità, un ridursi al nulla. Certo non è così, non siamo ridotti a tanto e ce lo attesta tutta questa vostra partecipazione, ce lo attesta il sorriso di primavera che questi bimbi di Grado ci hanno portato; un sorriso che ci rallegra perché la maggior parte di noi ha speso la vita tra i ragazzi, ci conforta anche perché sentiamo che nella loro freschezza e semplicità Intuiscono il valore di questa cerimonia. In questa presenza di generazioni diverse, ben si comprende come questa pietra è un messaggio d'amore. E lo è nel modo che Biagio Marin lo intese nella lirica «La ciesa grande», ove dice: «La ciesa grande spela, co' fa sera / che la zente la venne a riposasse». Nella chiesa grande vengono giovani, ragazzi ed anziani per «riposasse, che vuol dire per riflettere, ascoltare, pensare ed anche dire. Cosi anche noi verremo e nella chiesa grande ed accanto a questo masso per «riposasse». Grazie, signor sindaco; grazie, bambini di Grado.