Nel centenario della nascita del Pastore intrepido e premuroso Fierezza di Vescovo nella guerra e Nell'esodo - Antonio Vitale Bommarco - foto

foto Didascalie: L'ultima immagine di monsignor h, Raffaele Radossi a Montericco nel 1971 La copertina dei fascicolo che dedicammo e consegnammo a Mons. Radossi nel cinquantesimo dl sacerdozio Come lo ricorda l'arcivescovo di Gorizia Poiché la divina Provvidenza mi ha fatto nascere nello stesso paese di colui che oggi vogliamo commemorare nel primo centenario della nascita: Padre Raffaele Mario Radossi, frate e vescovo, nato a Cherso il 3 giugno 1887, la mia memoria mi riporta agli anni della mia fanciullezza quando divenni zaghetto della Chiesa di S. Francesco. Con questo titolo avevo pieno diritto di far parte dell'oratorio gestito dai chierici del Seminario liceale-filosofico, allora inserito nel Convento di S. Francesco. Rettore del Seminario era il Padre Raffaele che, a noi fanciulli, incuteva un profondo rispetto per la sua figura signorile e ieratica. Mi ricordo che nel 1931 egli andò via da Cherso. ma vi ritornava ogni anno per un breve riposo estivo che godeva .passeggiando sul nostro bel mare. Ho detto passeggiando perché è impressa nella mia memoria la figura di questo frate esile e slanciato, seduto a poppa di un piccolo caiccio, riparato dal sole da un telone bianco, che leggeva un libro e con le piante dei piedi azionava due pedaliere che muovevano un'elica che faceva camminare lentamente la barchetta. Per noi abituati al remo o alla vela, quel semplice marchingegno, creato dallo stesso Padre Raffaele, era una invenzione geniale per godere una lunga e non faticosa passeggiata sul nostro placido mare estivo. Piccolo incancellabile ricordo di infanzia che pone, per me, la figura del Padre Raffaele fuori dall'ordinario, proiettata verso nuovi impegni o conquiste. Non ho avuto occasioni di avvicinare mons. Radossi durante il suo difficile e coraggioso episcopato istriano e nei primi anni dell'esodo, ma dai successivi incontri e dialoghi ho intuito l'amore profondo che sempre ha conservato per quella terra abbandonata e per i suoi figli sparsi in tanti altri lidi a ricostruire un focolare. In raduni di spiritualità, organizzati dalla provincia Religiosa di Padova, parlava spesso a noi chierici e giovani sacerdoti con una parola fluente e lucida che incantava senza stancare, riuscendo cosi a trasmettere le sue esperienze pastorali e sociali. Conservo cari ricordi personali degli ultimi cinque anni della sua esistenza terrena. Alla fine del Concilio Vaticano Il seguendo le nuove disposizioni, si era premurato di inviare al Papa la sua rinuncia all'Arcidiocesi di Spoleto, per superati limiti di età. Poiché si era sempre sentito frate anche da Vescovo, mi chiamò a Spoleto, allora ero Ministro Provinciale di Padova, per pregarmi di farlo ritornare nel Convento dei Frari a Venezia, dal quale era partito venticinque anni prima. Era nostra gioia poterlo ricevere, ma rimasi colpito dall'assoluta povertà della sua vita di vescovo, che si era privato di ogni bene e chiedeva la carità di saldare alcuni debiti fatti per aiutare i poveri. Passò gli ultimi cinque anni tra Venezia Montericco di Monselice e Padova. Un frate infermiere così scrisse di lui: Pregava sempre; il colloquio con Dio gli era cosi familiare che talora gli serviva anche da diversivo. Più di una volta gli chiesi cosa stesse facendo, e lui rispondeva di stare pregando o pensando a cose belle: e lo si vedeva, il suo volto sereno lo manifestava. Toccò a me, appena Ministro Generale dei Frati Minori Conventuali, a dargli l'ultimo saluto il 28 settembre 1972 nella liturgia funebre nella Basilica del Santo di Padova. Mi sia permesso di riportare alcuni pensieri allora espressi: «Caro fra Raffaele vescovo, oggi l'ordine francescano. che settanta anni fa ti accolse nel Convento della nostra Cherso, si stringe commosso e riverente intorno alla tua salma. Questo mio fraterno saluto non vuole essere un panegirico della tua opera e della tua vita. ma un atto di amore e di ringraziamento e di ricordo. Sei stato religioso esemplare di questa cara provincia del Santo che tu hai visto rinascere e crescere, e al cui sviluppo hai contribuito con le tue doti di francescano intelligente. convinto e fervente, con l'opera di educatore e maestro della gioventù serafica e di superiore delle nostre comunità. Hai amato il tuo "essere frate" anche da vescovo e al termine della tua missione pastorale sei rientrato in Convento per prepararti al Paradiso. Sei stato pastore: da sacerdote, da parroco e da vescovo. Ti sei donato tutto ai grandi compiti dell'episcopato: insegnare, governare, santificare. Hai guidato alla perfezione con l'esempio. con la dottrina e con l'incoraggiamento tutto il popolo di Dio delle Diocesi di Parenzo-Pola e di Spoleto, che la Chiesa ti aveva affidato. Non posso non ricordare la pagina dolorosa e gloriosa della tua vita di pastore. nell'Istria occupata e umiliata e a Pola durante il plebiscitario esodo. Pola romana. dalle orbite spalancate della sua Arena. guardò straziata l'esodo totale dei suoi figli e ti vide pastore intrepido e premuroso che nel lontano febbraio 1948 chiuse la lunga fila del corteo che si era mosso verso l'Italia. Mi rimane un ultimo sensibile ricordo che. provvidenzialmente, mi è stato trasmesso e che porto sempre con me in questa mia missione episcopale: la croce pettorale di Padre Radossi. Conservo questa cara croce che egli ha portato per trent'anni come simbolo e segno di sofferenza, di vittoria e di particolare sostegno nel doloroso cammino dell'esodo e nello sviluppo di una vita tutta consacrata all'amore di Dio ed al servizio dei fratelli. + P. Antonio Vitale Bommarco

Dal numero 2492

del 30/05/1987

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