Appuntamenti romani
Sergio Endrigo col canto nella tradizione paterna - foto
Ho incontrato Sergio Endrigo al Canova, il rinomato ritrovo degli artisti a due passi dalla Rai di via del Babuino dove ho trascorso tanti anni di lavoro giornalistico. In passato, nei giornali radio per l'estero, mi ero spesso occupato di lui. Conoscevo, quindi. molti suoi successi. Perciò l'incontro si é svolto in un'atmosfera di viva cordialità. Né poteva essere altrimenti dato il carattere schietto. vivace, pieno di umana semplicità del celebre cantautore palesano. Già, perché Sergio Endrigo è nato a Pala. Suo padre, nomea. era anch'egli di Pala e così pure la sua cara mamma, la signora Claudia Smareglia che vive con l'artista a Roma. Lui palesano, io fiumana: ci siamo dati subito del tu. Gli ho chiesto: «Vuoi raccontare ai lettori dell'Arena qualcosa della tua vita, dall'inizio, i primi anni. i primi passi nell'arte del canto?
Sono nato a Pola — ha cominciato Endrigo con voce pacata, riandando col ricordo lontano nel tempo — mio padre era un tenore. Aveva debuttato nel 1922 al Dal Verme di Milano con la Bohéme e la Butterfly Ebbe un gran successo. Il pubblica disse: ecco un tenore che canta senza gigioneria, senza far tremolare la voce. In quell'ambiente anche io mi sentivo un po' cantante. Parlo logicamente di parecchi anni dopo, perché in quell'anno non ero ancora nato. Ricordo che cantavo in un'osteria ove adesso c'è una rosticceria macedone. Avevo da poco compiuto dieci anni. Cantavo per gli operai. Il pezzo più richiesto era "La donna è mobile". Ricevevo una lira e ciò mi faceva comodo. Il mio sogno era diventare un cantante lirico. Alla Scala di Milano mi dicevano che potevo diventare un buon baritono. Ma io preferivo essere un tenore. Il mio inizio come cantante è avvenuto, però, a vent'anni. A circa quattordici anni lasciai Pala. Fui imbarcato. come tanti altri, sul Toscana. Giunsi a Venezia. I miei primi passi come cantante furono col genere pop. Musiche di Frank Sinatra ed altri in voga allora. Con la chitarra seguivo quella moda. Cantai al Malibran e al Lido. Per sette anni fui in tante città: nigth club a Milano, a Torino e in altre città italiane, Fui anche all'estero: ad Amsterdam, nel Lussemburgo ed anche a Beirut. Poi decisi di lasciare i nigth club e tentai la strada discografica. Feci con successo un provino alla Ricordi. Lì ho conosciuto tanti cantanti. Tra essi Paoli e Tento. Divenni loro amico. E cominciai anch'io a creare parole e musiche. Cantavo in italiano ma anche in francese, in inglese e in spagnolo. Il mio primo disco fu nel 1960 "Bolle di sapone". Ebbe un buon esito. Continuai con "lo chiamo solo te", "Via Broletto 34" che porto tutt'oggi nel mio repertorio. "Mani bucate", "Teresa" e con "Canzone per te" che ha vinto il Sanremo nel 1968. Poi una parentesi con due dischi per bambini dal titolo "Ci vuole un fiore". Recentemente con "Mille lire" cioè la sigla della trasmissione "di tasca nostra". Ora sto lavorando per portare a termine il più bel disco della mia vita. Non so ancora quale titolo dargli. Si tratta di otto canzoni nuove. Ho già realizzato quattro di esse. Il produttore ne è entusiasta. Usciranno a settembre. Scrivo liberamente, in forma poetica, senza preoccuparmi dei festival, di Sanremo o altro. Seguo solo quello che ho nel cuore.
Sono certo che il pubblico accoglierà con successo la tua nuova produzione — gli dico e poi gli chiedo: — Cosa pensi dell'esodo, della nostra gente con richiamo alla tua canzone "1947"?»
«L'esodo — risponde — è stata una grande tragedia. lo l'ho sentita molto di meno, perché avevo appena quattordici anni. Dovevo ancora formarmi una vita. Comprendo, però, la sofferenza, la nostalgia degli adulti di allora costretti a lasciare amici, lavoro, case e tanti cari scomparsi. E' stata una tragedia provocata dal momento politico. Un momento causato da una dura guerra perduta. E pensandoci mi dispiace che non si sia potuto andare d'accordo con gli slavi, gente comune, gente che ci assomiglia molto di più di quanto pensiamo. lo ho cantato a Belgrado, a Zagabria, a Sarajevo, già nel 1960 e ho trovato molta comprensione. Ed anche tanti amici».
Gli chiedo ancora un suo giudizio sui nostri giovani, oggi.
Gli anziani — risponde — avranno sempre nostalgia. Ed è umano. I giovani, però, sono venuti su in altro ambiente, con altri tempi. Sono logicamente diversi. Trovo, però, che molti di essi si perdono seguendo con accanimento manifestazioni canore di cantanti esteri giungendo persino a provocare disordini. Ma ho fiducia nella maggioranza dei giovani perché constato che essi si preoccupano dell'ambiente, della vita del paese e. quindi, della politica. E ciò è bene perché attraverso la politica si prepara la via dell'avvenire dell'Italia, quindi del loro avvenire e perché no, dell'avvenire del mondo.
Continuiamo a discorrere del più e del meno e dalla conversazione apprendo che Sergio Endrigo è un po' amareggiato perché su questo nostro giornale tanti anni fa fu accusato di essere stato facile nel cambiare idee. Idee politiche, s'intende. Ma la conclusione è che nel suo cuore e nella sua mente non vi è alcun rancore. I tempi sono stati difficili e con essi anche gli uomini. Bisogna che tutti ci sentiamo più uniti. Solo così sorgerà quella forza ideale che renderà l'avvenire migliore per tutti ed eliminare malignità e rancori. Sergio Endrigo è un figlio di Pola e come tale ama la sua gente. Ama tutti gli istriani e con essi i dalmati e i fiumani. Ecco perché io ho concluso l'incontro al «Canova» augurandogli tanti e tanti successi ancora, perché ogni successo di un fratello è un successo per tutti noi.
Giuseppe Schiavelli