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Nell'andare, se ne va e piange, portando la semente da gettare, ma nel tornare, viene con giubilo, portando i suoi covoni. (Salmo 125)
Ventiquattresima parte
Ritornare era valicare ìl confine del tempo per rituffarsi in un passato che ancora ci avvolgeva a ogni passo, e non era risolto dentro di noi. Tutto manteneva un aspetto mitico e ridondante, con forti impulsi alla commozione; e le risonanze degli avvenimenti là accaduti le conservavamo ancora in cuore.
Siamo tornati tante volte. Passato e presente si sono ormai ricongiunti, e il ponte è gettato. Ora non fa problema prendere la macchina, bollare il passaporto e mettere in valigia l'indispensabile, provvedere l'immancabile pensiero e ricordo per chi ci ospiterà, e andare. Se problema c'è, è il costo della benzina, e la stanchezza dei viaggio, che saranno da mettere in conto. Ma le prime volte non era così. Ritornare era valicare il confine del tempo per rituffarsi in un passato che ancora ci avvolgeva a ogni passo, e non era risolto dentro di noi. Tutto manteneva un aspetto mitico e ridondante, con forti impulsi alla commozione, e le risonanze degli avvenimenti là accaduti le conservavamo ancora in cuore, si avvertivano dense nell'aria (parlo di quindici, venti anni fa). Purtroppo il tempo è giustiziere (anche impietoso), è inesorabile, avanza, e copre, seppellisce, cancella, addormenta, rischia di ottundere e di rendere insignificanti alla memoria le cose e i fatti, che sono come appannati. Il tempo però è anche inverso, per lungo tempo scorre in avanti e poi si arresta e torna a defluire all'indietro: e allora ridimensiona, dà sostanza, lima gli eccessi, disegna la esatta forma, circoscritta e scarna, e fa brillare alla fine l'essenziale: ciò che resta è il vero.
Irma Sandri Ubizzo
Didascalie:
La chiesa parrocchiale di Sissano
Capitello posto da mio bisnonno sul quadrivio del San Piero a Sissano (conteneva una statua del santo)
«C'è qualcosa di antico nell'Istria; qualcosa che si stende sulle campagne piene di sale e di vento, sulle pietre, sui viottoli polverosi, fra il canto a non finire delle cicale, sui muri delle povere case rosse di terra, sui cespugli spinosi dove le more rimangono frutti non colti. Qualcosa che sembra affiorare dal suolo e impregnare di sé i villaggi quieti e appartati, i campanili umili e rugosi». [Da «Istria ritrovata» dl Fulvio Monai