Cuore di De Amicis in Istria Seguendo la cronaca di Paolo Tedeschi - Mario Zanini

- foto Didascalie: Lettera autografa di E. De Amicid a Paolo Tedeschi, cronista e noto scrittore de «La Provincia» A pagina 4 una foto rievocativi, dell'epoca A quasi cent'anni dall'uscita della prima edizione di Cuore di E. De Amido, la televisione ha messo in onda lo sceneggiata del regista Comencini, che rielabora con visione personale, pur mantenendo i personaggi, le vicende umane di un gruppo di ragazzi di una quinta classe (detta allora terza superiore) e delle loro fanti-glie. Da anni, da decenni il capolavoro di De Amicis era stato pasto nel dimenticatolo sia dalla scuola che dalle famiglie ed era stato soppiantato dai nuovi eroi del fumetto nelle più stravaganti storie di scarso contenuto. Nessuno, né a casa, né a scuola, osava presentarne una pagina perché... ormai facente parte di una letteratura dolciastra e... fomentatrice di nazionalismo. Sono bastati invece pochi fotogrammi per incantare milioni di spettatori di ogni età, perché sin dalle prime battute ognuno ha scoperto qualcosa che da tempo andava cercando, quel qualcosa che fa dell'uomo un uomo. E questo qualcosa, niente di straordinario, né di superlativo, era detto e vissuto con semplicità dai vari Enrico, Garrone, dal maestro e dagli altri personaggi: ragazzi e uomini vivevano i valori fondamentali, naturali dell'uomo: il bene, il vero, il giusto; nella libertà. Infatti questo è il libro Cuore; e lo disse lo stesso De Annido in una lettera del 1886 al professor Franz Raab di RiedAustria, insegnante nel ginnasio tedesco di Trieste, che gli chiedeva il permesso di tradurre in lingua tedesca il libro. «Cuore. così diceva il De Amicis, 'in italiano, adoperato nelle frasi uomo di cuore, il tale ha cuore. bisogna non aver cuore per far questo etc. vuol dire insieme: Bontà, affetto, generosità, gentilezza; tutte queste cose riunite insieme. Con questo titolo ho voluto dire: in questo libro si danno esempi di queste virtù. Ma non è qui che si vuol parlare del libro, né del filmato — per quanto quella battuta finale di fede politica detta dal maestro Perboni ad Enrico in partenza per fronte era parecchio fuori posto — ma del De Amicis e della sua venuta tra noi, in Istria ed a Trieste. Quando nel 1867 il giovane De Amido, lasciato il servizio militare attivo, incominciò i suoi bozzetti su L'Italia militare ci fu chi a Trieste intuì il valore della nuova forma espressiva e di quei contenuti, e chiese all'autore il permesso di .pubblicarli sul quotidiano liberale 11 Cittadino. Lo scrittore alle prime armi, ne fu molto lusingato e non dimenticò mai questa apertura dei Triestini nei suoi confronti; anzi ogni qualvolta aveva occasione di incontrare qualche nostro conterraneo manifestava questa riconoscenza ed esprimeva il desiderio di venire a Trieste. Così fu nel 1878, l'anno della venuta a Trieste di Giosuè Carducci, quando a Torino incontrò per la prima volta Giuseppe Caprin al quale rinnovò i suoi sentimenti e col quale iniziò quella calda amicizia e stima reciproca che doveva durare fino aula scomparsa dei due illustri uomini. Intanto nell'ottobre del 1886 usciva «Cuore, il libro che rianimò gli Italiani e milioni di uomini in tutto il mondo per la schiettezza dei valori che faceva sentire in ogni uomo. Alberto Boccardi, redattore de L'Indipendente., presentendo la vasta funzione educativa del libro così gli 'indirizzava una lettera aperta sul giornale del 2/11/1886: Nessuno d; noi potrà leggere questo volume senza sentirsi dolcemente trasportato lunga da questa tediosa miseria quotidiana in un ambiente purissimo, dove ci sembrerà di ritrovare 'il sorriso confortatore e la parola benedetta delle nostre madri. Il significato di questo giudizio può con tutta tranquillità essere valido anche per i giorni nostri. L'atteggiamento preso dal De Amicis, verso il popolo, i disagiati, i maltrattati, gli emigrati, trovava fertile terreno fra noi e soprattutto fra coloro i quali si esprimevano ella meglio per la nostra gente, per quella più umile e semplice, per darle dignità che le veniva di diritto dalla storia. Ricorderemo Michele Fachinetti, Tomaso Luciani, Carlo de Franceschi, Vincenzo de Castro, Antonio Madonizza, Giovanni Tagliapietra, Giuseppe Lugnani, Francesco e Carlo Combi: G. P. Polesini e via via tanti altri. E con loro le Società Agrarie e le Società Operaie. La strenna Istriana del 1848 e «L'Aurora. di Rovigno del 1864 portano i loro scritti che ancor oggi si possono leggere a conforto. Trieste e l'Istria dunque erano pronte ad accogliere il cantore di tanta umanità. Questi con una lettera del 12 gennaio 1887 si faceva vivo col Caprin dicendogli che sarebbe venuto volentieri a Trieste per una conferenza su Le colonie agricole in Argentina» o I contadini italiani in America; una conferenza senza statistica, si capisce; quasi tutta pittura e sentimento. Questo sarebbe stato il tono dell'incontro. 11 Caprin gli rispondeva in data 17.1.1887: Impaziente di stringerle la mano, le mando un affettuoso saluto e l'espressione della più viva gratitudine. Cosi la sera del 31 gennaio il De Amicis parlò nella sala della Società Filarmonico-drammatica ad oltre duemila persone entusiaste; tra i presenti molti giovani e giovanette, capeggiate dalla Haydyèe (Ma Finzi), che non molti anni dopo scriveva «Allieve di quarta., versione femminile del Cuore» (Il libro della Haydée ultimato nel 1914, fu pubblicato poi nel 1928). Parecchi anni dopo il De Amicis nella prefazione al suo «Capo d'anno, pagine parlate così ricorderà la conferenza triestina: «Ma la più memorabile fu l'entrata nella grande sala di una Società filarmonica. Da una sala accanto, prima di entrare. sentivo il mormorio profondo della folla. E un mio carissimo amico mi disse all'orecchio: "Bada, so che sei un vecchio lupo, non di meno va preparato a una scossa perché... coglieranno l'occasione, mi capisci". lo sorrisi accennando al mio capo grigio. Ma quando mi presentai a quei duemila uditori, tra cui brillava quanto di più bello, di più nobile, di più generosamente italiano è in quella città italianissima, e ricevetti nella fronte il soffio 'ardente e sonoro che eruppe dalle anime loro, non ci ressi; sentii come una percossa che mi curvò e una voce che mi disse: giù la fronte! Questo non è per te. è per il tuo paese. Ah sì! Grazia in nome suo, fratelli„ sangue mio, benedetto sospiro e speranza nostra! Oh, avrà ben da venire quel giorno». Questo saluto, questo l'incontro con Trieste. L'Istria lo ebbe ospite applaudito il giorno 3 febbraio, per un solo giorno, ma denso di emozioni e di entusiasmi. Veramente in un primo tempo gli organizzatori avevano predisposto una permanenza un po' più lunga per poter venir incontro alle tante aspettative; ma non fu possibile e Parenzo, allora capitale dell'Istria, se ne risenti; mentre Pala lo ebbe ospite nel settembre 1897 quando venne da noi per far conoscere l'Istria ai suoi due figli, Ugo e Camillo. Imbarcatosi il De Amido all'a mattina, ore 7, del 3 febbraio sul piroscafo 'stria, accompagnato dagli amici triestini, giunse a Pirano verso le nove accolto dal podestà Domenico Fragiacomo, dal dott. ètoga, dal dott. Stradi, dall'avv. Nicolò Venier di Buie e da tutta la popolazione che sul molo. in piazza, lungo le rive salutava questo araldo del cuore. Dopo una breve passeggiata e la visita al Circolo (Casino) per la firma sul libro degli ospiti illustri. le conversazioni continuarono all'albergo Vapore dove, tra rinnovati omaggi e saluti, fu servita una colazione per 60 invitati. Alle 11 si formò un corteo di sette carrozze che accompagnarono l'ospite per Portorose, Sicciole, la Chic grande a Buie, dove altra folla con le rappresentanze dei comuni di Portole, Grisignana, Citttanova, Umago, Momiano, Verteneglio, Visinada, Visignano, Rovigno gremivano la piazza: C'era in quel salotto, dice un cronista, la gioventù istriana, ma anche molti di quei vecchi che ci ricordavano le lotte e rappresentavano l'Istria negli uffici più delicati e stanno a capo di società che godono la stima dei compaesani.. Parenzo non era rappresentata ufficialmente; il podestà vi aveva mandato il seguente telegramma: «Deluso nelle concepite speranze, impedito partecipare fraterno banchetto. a tutti convenuti manda un saluto cordiale il podestà di Parenzo. Dopo la presentazione dell'ospite ai cittadini da parte del dott. Venier, ne seguì il pranzo per cento invitati nella sala Tessarolo in un entusiasmo senza fine. Tanto è vero che la partenza fissata per 'le ore 3 del pomeriggio, avvenne appena verso le quattro e mezzo. Altro corteo festante di carrozze fino a Castelvenere; quindi il gruppo di triestini che accompagnavano l'ospite proseguirono per la Dragogna e Valderniga fino al Monte Toso. Qui al sommo della salita c'era la delegazione capodistriana con Pio Gambini, Giuseppe Gravisi ed il doti. Sandrin a dargli il primo saluto della città. Era ormai sera avanzata quando le carrozze giunsero alla porta della Muda dove c'erano tanti giovani ed il podestà Giorgio Cobol ad attenderlo. Il corteo proseguì a piedi fino alla piazza del municipio che, come dice il cronista, al suo giungere presentava letteralmente una marea di teste umane elettrizzate; i bengala rendevano più suggestiva la scena. Nella sala del Consiglio in palazzo pretorio ricevette il saluto ufficiale e qui nel registro dei verbali vergò di proprio pugno le seguenti parole: Edmondo De Amicis commosso profondamente dalla affettuosa accoglienza ricevuta a Capo d'Istria prega 'l'illustre e gentile signor Podestà e tutti i cortesi che lo salutarono nel palazzo municipale di conservare a lui la loro preziosa benevolenza. come egli serberà sempre per loro la sua viva gratitudine 3 febbraio 1889». Dal municipio di nuovo in piazza tra la folla e aula Loggia per assaporare appieno l'atmosfera dell'ambiente e del momento storico. E che della piazza debba aver avuto un'impressione particolare lo si desume da una lettera che non molto tempo dopo scriveva ad Attilio Hortie dicendogli: Se avrai occasione di rivedere il gentile podestà di Capo d'Istria, rammentagli la sua promessa, digli che sarei felicissimo d'aver la fotografia della piazza del Municipio, della quale conservo una così cara memoria.. Ma seguiamo ancora Paolo Tedeschi nella sua cronaca su «La Provincia»: La partenza da Capodistria seguì a sera avanzata, col piroscafo paesano Carli (era stato messo a disposizione dal 'marchese Gravisi), uno scoppio echeggiò per l'aer bruno: Addio De Amido, arrivederci! La banda suonò un mesto concerto d'addio, mentre tutti i capodistriani seguivano con più mesto addio il grande ospite, fulgente raggio del sole d'Italia. Che momenti! Dio eterno!. Nel tragitto fino a Trieste fu servito un buffet e quindi il congedo in piazza Grande (ora dell'Unità d'Italia). Per l'occasione a Capodistria era stato stampato un cartoncino che diceva: La data di oggi, 3 febbraio 1887 sarà memoranda per noi capodistriani. Ci è concesso di godere quale ospite Edmondo De Amicis, l'apostolo dell'amare, e in questa carta gli porgiamo uniti tutti i baci a stento rattenuti. Salve Edmondo, gloria d'Italia. Il 4 febbraio si tenne all'hotel de la Ville a Trieste il gran banchetto del congedo con la presenza dei più bei nomi della nostra terra, da ~no Hortis, a Lorenzo Lorenzutti, presidente della Minerva, a Giuseppe Caprin, al poeta Giglio Padovan, ad Alberto Boccardi. Da Gorizia era giunto l'avv. Venuti. 'La partenza dell'ospite da Trieste avvenne il giorno 7 febbraio con un certo ritardo rispetto al previsto per una indisposizione del De Amicis; ma forse c'era solo una prudenza poiitica in quel malessere. Partì in forma privata, ma non tanto, in treno per Udine. Prima di oltrepassare io Judrio, il vecchio confine con l'Italia, alla stazione di Gorizia era ad attenderlo una nutrita rappresentanza delle varie associazioni culturali e la signora Venuti, a nome di tutti, gli offri un gran mazzo di fiori. Penso che questo ricordo, così bello dei nostri avi e della nostra gente, sarebbe incompleto e mancante se non riportassimo quella pagina di Cuore, che è forse la più bella, la più edificante e qualificante per qualsiasi popolo e che certamente ha consolato milioni di uomini nella traversia della vita e che per noi istriani resta la pagina d'oro. Eccola: «lo amo l'Italia, perché mia madre è italiana, perché il sangue che mi scorre nelle vene è italiano, perché italiana è la terra dove sono sepolti i morti che mia madre piange e che mio padre venera, perché la città dove son nato, la lingua che parlo, i libri che m'educano, perché mio fratello, mia sorella, i miei compagni, e il grande popolo in mezzo a cui vivo, e la bella natura che mi circonda, e tutta ciò che vedo, che amo, che studio, che ammiro, è italiano. Oh, tu non puoi ancora sentirlo intero quest'affetto! Lo sentirai quando sarai un uomo, quando ritornando da un viaggio lungo. dopo una lunga assenza, e affacciandoti una mattina al parapetto del bastimento, vedrai all'orizzonte le grandi montagne azzurre del tuo paese; do sentirai allora nell'onda impetuosa di tenerezza che t'empirà gli occhi di lagrime e ti strapperà un grido dal cuore... (lettera del padre ad Enrico). Giù il cappello dunque e meditiamo. Mario Zanini

Dal numero 2369

del 15/12/1984

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