Ascoltando Federica Valenta in quel concerto - Antonio Benussi Moro - foto

foto Promosso dall'Arena di Pola preludiando all'uscita del recente n. 2300 nel suo 39.mo anno di vita, la sera del 18 giugno u. s., a Gorizia, nella sala dell'Istituto dl Musica, è stato eseguito — corna annunciato e programmato nel n. 2296 — Il concerto della pianista Federica Va-lenta, nata da genuino sangue rovignese 20 anni or sono a Verona, e diplomatasi l'anno scorso col massimo dei voti al Conservatorio G. B. Martini di Bologna. Vincitrice nell'ottanta del concorso a Livorno. nell'ottantuno all'internazionale -Città di Bardolino. e nell'ottantadue nel concorso pianisti d'Italia di Osimo, si è messa In cammino sulla via del successo e dell'affermazione di concertista movendo i primi passi a Verona, che le diede i natali, a Firenze, a Bologna, quindi a Bolzano, ed oggi (possiamo dire a distanza di un mese, a Gorizia, e domani... lo dirò poi, alla fine del concerto, in conclusione). La Sonata in fa minore per pianoforte op. 17, in allestimento nel gran cantiere di Beethoven dal 1804, ne uscì, per attraversare in una crociera senza fine i mari e gli oceani del mondo, nel 1807. Ma chi diede all'opera la definizione letteraria di Appassionata non fu lui (cui bastava in linea di massima il numero secco), bensì lei, Teresa von Brunswik, forse Fimmortale amata, la quale ancora nel 1816 gli faceva esclamare: A lei pensando, il mio cuore batte così forte come il primo giorno ch'io la vidi. Tuttavia sarebbe un fraintendere la definizione stessa (uscita pubblicata per la prima volta nell'anno 1838, dopo 11 anni dalla morte di lui) nell'interpretarla come lo sfogo di un tormento amoroso: l'opera è invece il capolavoro di un fremente dinamismo di ardore divampante da un eroico dolore. Federica Valenta, nell'eseguire questa prediletta Sonata di Beethoven, sino dai primi tocchi mi ha fatto emergere, venire a galla dalle profonde latebre del cuore un remoto ricordo... Quella notte il mare si rivoltava. lo stavo tutt'orecchi ai rovesci scroscianti sulla banchina, quand'ebbi un sobbalzo: chi suonava? chi suonava così, mai da me prima udito? Ero sovreccitato dall'immane romba della burrasca? Subivo un'allucinazione uditiva? Sovente, in sogno, udivo musiche, orchestre trascendentali, suonavo il mio violino, come il diavolo di Tartini, con mani magiche. No, una finestra spalancava l'onda sonora di un pianoforte: a Rovigno era giunto Massimo Sella, nuovo direttore dell'Istituto di Biologia Marina, ed eseguiva l'-Appassionata. (della quale però, più per sentito dire che per adeguata cultura, sol conoscevo il titolo). Ecco dunque, al mio spirito vergine di siffatte audizioni (chiuso com'ero in un guscio a Rovigno). sovrastato così d'improvviso addirittura dal culmine sonatinistico del dualismo drammatico beethoveniano fra i due contrastanti principi, l'uno che implora e l'altro che si oppone, fra mani giunte respinte, fra stacchi tematici, scontri sonori e slancio di canto spiegato. di fede trionfante, quella musicalità mi si accordava or col fragor tempestoso — e infatti Beethoven avrebbe tratto la ispirazione della possente Sonata leggendo «La tempesta di Shakespeare — or quelle vibrazioni facevan trillare le stelle: scandito infin dal ritmo galoppante mi travolse l'applauso nell'immenso teatro degli elementi... Seduto accanto al maestro di musica Perini (anche lui rovignese) in prima fila, non stando nella pelle, composto e compito come il 99,9 % degli uditori, gli ronzavo nella tromba di Eustachio: -E' perfetta! cosa le manca?! e, sconcentrato, infastidito, lui faceva il gesto di scacciare un moscone. Appena ebbe finito l'Allegro assai del primo tempo, afferrato da un certo mio raptus. (di cui responsabile unico è l'Onnipotente), .braval bravan gridai, ritardando in misura musicale soltanto di una minima l'inizio dell'Andante con moto, E Federica di nuovo mi ricondusse al mio remoto ricordo. Lei, nata e cresciuta nella diaspora, non ha nella mente Rovigno, né tanto meno, come i suoi avi, nel cuore. Or qui di scorcio gliene faccio un quadro, perché le rappresenti, accompagnandone domani l'interpretazione, l'-Andante con moto. delFAppassionata. come un movimento visivo. Il Duomo di Rovigno sull'altura sovrasta il monte dei tetti ammucchiati ai suoi piedi, e il campanile altissimo sembra toccar con la cuspide il cielo. Si sale al tempio per viuzza, che vi convergono, ma una sola è la via che un tempo. a quel tempo, cedeva il passo al carro funebre trainato dai cavalli col pennacchio. Il primo tornante della salita è il più greve, risente del passo scandito dalla Marcia funebre. di Chopin, ch'io, da chierichetto, ai funerali di lusso, ascoltavo dalla banda cittadina. E' questo, sul registro grave, il moto iniziale del secondo movimento della Sonata. Poi, via via, la salita è men ripida. scioglie il passo, finché si appiana sull'antistante spianata del Duomo. Similmente il moto dell'«Andante si allevia, passa dal grave al registro medio, è quasi un «Allegretto anela, mette le ali, ora si libra sul registro acuto come l'anima che si avvia, poi che le hanno cantato sulla soglia del tempio, in cui fu battezzata, l'antifona dell'estremo congedo: In Paradisum deducant te angeli. Ma i vivi, cui la morta persona fu cara, fu amata, discendono, per accompagnare le spoglie al camposanto, col cuor più pesante di prima: così ricasca il tema, e come un peso morto, sul grave registro iniziale... Ma i congiunti son buoni, son cristiani, credono nel ricongiungimento, nella Resurrezione: così la Speranza, la Fede si riprendono, si risonavano: così l'Appassionata irrompe neWAllegro del terzo movimento, e il tema par che inciti vieni! vieni!. e spalanchi le braccia, ed essa vi si getta — come alla fine delI'-Allegro assai — al ritmo del galoppo... Sol quando l'eco dell'ultima nota. vibrante ancor nell'aria e nel silenzio degli astanti rapiti, si estinse al disincanto, l'applauso a Federica fu scrosciante. — Ludwig, — si rivolse a lui, che in cielo non è sordo, l'amata immortale — hai sentito? che ne dici di quella pianista ventenne? come dicesti allora. quand'eravamo laggiù, della giovane Leopoldina Pachler Koschak, con ammirazione affettuosa, che tu ancor non avevi ascoltato nessuno, il quale, come lei, sapesse interpretare le tue composizioni? — Quando ascoltai Leopoldina, le mie composizioni pianistiche si potevano eseguire con una certa facilità; poi no: in modo particolare FAppassionata. esige una preparazione tecnica, una padronanza di estrema sicurezza della tastiera, che soltanto un vero pianista può possedere dopo un lungo e meticoloso studio. Perciò di quella giovane, in merito alla esecuzione, posso esprimere il giudizio che Mozart espresse, in merito alla composizione, di me, quando, a 17 anni, venuto da Bonn, in un salotto viennese improvvisai al pianoforte davanti a lui: Federica Valenta farà parlare di sé, così che dal suo cuore io possa di nuovo andare ai cuori, von Herzen ee wieder zu Herzen gehen. E folgorante sarà la sua interpretazione, illuminandosi di fede nell'Altezza, se anche terrà presente la mia morte, quando, ripartito da Gneixendorf per Vienna, vi giunsi con una doppia polmonite, né toccai più tastiera, e Vienna fu tutta con me, si assiepò, si strinse intorno al mio feretro, e d'improvviso, fulminai, esplosero lampi e tuoni. e non fu — chi mai potè pensarlo? — un rifiuto del Cielo di accogliere l'anima mia: fu la rabbia del demonio. dell'opposizione sconfitta, fu Lucifero che precipitava, mentr'io salivo quassù. Altro che testamento di Heiligenstadt, quando, relegato nella sordità, senza un amor che fosse ricambiato, meditavo il suicidio! — Ludwig, ma io... To', Chopin! Federico, vieni un po' qui: c'è una pianista laggiù, molto giovane, molto bella, e sta facendo un concerto da sola, e ti ha, naturalmente. in programma; lei si chiama proprio come te, Federica, e anche indossa — guarda guarda! — i pantaloni come la tua George Sand, ma — guarda che disinibizione! —i suoi son senza piega, tirati addirittura proprio alla coscia... Chopin, cui più non manca il fiato, fece un salto. 11 Titano si fece in disparte; scontroso, secondo il suo solito modo, borbottò qualcosa come una formula, forma-sonata.. In un concerto per pianoforte solo può mancare Chopin? Sarebbe come togliere il pane quotidiano, il sostentamento fondamentale alla vita del più generoso, del più romantico strumento dell'espressione musicale. Unico è il ruolo che svolge nella storia della musica pianistica il genio di Chopin. I Bach, i Mozart, i Beethoven, gli altri cosiddetti giganti composero per ogni sorta di strumenti, abbracciarono tutto lo scibile delle forme, dei complessi, delle manifestazioni ch'esprimono i sentimenti e le passioni umane mediante il linguaggio dei suoni, e strumentali e fusi anche insieme col canto vocale. Invade Chopin rifiuta intimamente ogni sconfinamento dalla tastiera del pianoforte, ogni intersecazione orchestrale non solo, ma neppur si costringe nelle forme, nelle strutture configurate, schematiche, precostituite, astratte: Lui è un puro, è il libero, lo spontaneo, l'immediato Poeta della Musica. Tacete! tacete! non date fastidio! non disturbate! imbecilli! avrebbe voluto inveire Berlioz contro l'orchestra, mentre ascoltava il Concerto in fa minore, op. 21: ed aveva ragione: infatti, diciamolo ad onor del vero, come disse Chopin di se stesso: Lasciate ch'io scriva soltanto per il pianoforte: questa è la sola cosa ch'io so fare. Ma lui anche rifiuta la bacchetta, il tic-tac del metronomo, e persin le sue danze non si lascian pestare I piedi: lo hanno perciò definito, il suo, -tempo rubato. In ogni movimento musicale vi son momenti (o battute) in cui si accelera o si rallenta il passo, l'andatura indicata in capo alla pagina; ma in Chopin, per effetto del rubato., il pianista s'inceppa (diciamo) in quest'aritmica oscillazione, la quale fa (come si dice) cascare l'asino. nel senso, ben s'intende, dell'interpretazione. Come rubava il tempo Chopin? Nella misura della propria interiore sensibilità. Così lo rubano i Rubinstein, gli Horowitz, i Magaloff, i pianisti celebrati: così n'escono le varie sfumature interpretative romantiche del grande Polacco. — Federica ti sta rubando il tempo, Federico! — Mai più. Però non mi scontenta. come invece lo han fatto e spesso lo fanno i più ladri, che vari per la maggiore. Aspetta che soffra un pochino, la giovincella, e sentirai. — Senti! senti! E tu, questa Fantasia improvviso, non l'hai ritenuta degna di pubblicazione?! — Taci! Vedo la mia melodia... — La vedi? Come? — Non è svenevole. no, ma languida, si: come una vergine ignuda, la quale fa la morta in mare aperto, sul cresco carezzevole dell'onda, e al cielo espone pudicamente il pube... — Federico, è perché siamo in cielo... — Ecco, anche vedo I Notturni. Come in un quadro. E' notte fonda. lo suono a lume di candela... Dal buio, alla finestre spalancata, si affaccia un'ombra. E' la Morte. Mi ascolta. Non m'interrompe. Non una nota di meno. ma neppur una di più, perché farebbe traboccare il vaso. Come fece con Mozart, con Schubert. — Come con ogni genio creativo. Federico, il quale abbia esaurito la vena. la carica, né più della vita saprebbe che farsene, se non guastar ciò che ha fatto, cincischiare. La nostra Federica non poteva scegliere un più stretto collegamento interiore tra Beethoven e Chopin, se non eseguendone il .11 Scherzoop. 31. Altro che -scherzare.! In questa composizione si riscontra infatti, come nelVAppassionata, la lotta di supremazia fra il principio implorante, lirico. e il -principio di opposizione, il drammatico, il quale alla fine cede alla irresistibile vittoriosa elevazione del canto. Quando al contenuto ineffabile della Musica si appioppa il titolo concreto, specifico di un fatto reale, son cantonata: così Jardin soue la pluie (giardini sotto la pioggia) con un pizzico d'immaginazione in più potevano essere -La cattedrale sommersa, che a Rovigno (insieme con l'allievo di Malipiero Franco Baldanello e Massimo Sella, il quale definiva Beethoven appunto la Cattedrale della Musica) udii per la prima volta eseguire dal nostro Dalla Piccola, prendendo allora da quella sommersione lo slancio per inalberare infine il vessillo dodecafonico italiano. Ma per Federica le esecuzioni della terzultima e penultima composizione (di Debussà e di Albeniz) del suo programma, sono state un tranquillo passo indietro, diciamo, allo scopo di prendere la rincorsa e gettarsi contro... il diavolo. il Paganini del pianoforte, Liszt, i quali trassero, contemporaneamente, dai rispettivi strumenti l'estreme possibilità del cosiddetto virtuosismo, che se non dà spettacolo e fa strabiliar la platea per servire un costume o una moda può toccare le vette più ardue, inaccessibili ai più, della espressività musicale. Ispirato dal poema epico Faust del poeta ungherese Nikolaue Lenau, Liszt trasfigura, nei limiti del virtuosismo trascendentale, il demonismo di Mefistofele con il Mefisto valzer.. Tuttavia, nel rigido clima, tra il rabbrividire dei trilli e il grandinar dei tocchi sulle scale da un capo all'altro della gamma sonora, vi è il disgelo di un accento invocante, di un caldo affiato amoroso, di un moto di dolce preghiera, che Mefisto però, no, non sopporta: d'un balzo, con un ritmo aggressivo irrefrenabile disfrena la danza, l'aizza, la incalza. la travolge nel turbine, nel vortice infin la sprofonda... ed è il silenzio... — Demonio! — le gridai e scoccandole baci dal mio «raptus sull'onda dell'applauso che lungamente sommerse l'inchino di lei felicissima interprete della più fantastica trasfigurazione del mito faustiano; e Liszt, qui suggeritore testamentario di spunti al moderno pianismo (anche a Bartok, anche a Schanberg). ancora come allora gioioso scopritore di talenti, vecchio abate dimentico e di salmi e di oratori e di messe, si accalorò nel fuoco del Purgatorio per battere le mani alla novellla pianista e concertista Federica Valenta (o, per dir meglio. Valente). Domani? Ora lo posso dire. in conclusione. Ouandlo, alla buon'ora, più non sarò quaggiù, lei — sofferto un pochino (come ha detto Chopin) e condito col sale della vita il talento che non si apprende come la tecnica ma si porta con sè dalla nascita — farà parlare di sè (come ha detto Beethoven), e Lui e Chopin e Liszt, finalmente purgatosi, da un finestrino di lassù la seguiranno in giro per il mondo, intorno al sole della celebrità. Antonio Benussi Moro

Dal numero 2302

del 30/07/1983

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