CONTRO OGNI DEPRECABILE CEDIMENTO Il sistematico tentativo jugoslavo di inserire a Trieste il bilinguismo Se introdotto anche di forza segnerebbe la fine della storia giuliana e italiana delle genti dell'Adriatico orientale - foto

Didascalia: L'ing. Bartoli mentre pronuncia il suo discorso; gli sono accanto li vice presidente nazionale dell'ANVGD dott.. Della Santa, il presidente del giuliano dalmati della provincia di Gorizia dott. Cattalini e l'avv. Sardos-Albert., presidente dell'Unione degli Istriani Alcide De Gasperi, nell'affrontare una vasta azione sul piano politico, affermava che l'autorità dello, Stato si fonda sulla coscienza della dignità nazionale e, a tale fine, egli intendeva proseguire una politica estera di difesa dell'Occidente mirante a realizzare e consolidare i seguenti punti: entrata dell'Italia all'ONU; alleanza atlantica; Europa federale; revisione del Trattato di pace; restituzione del territorio di Trieste all'Italia. La politica avveduta e coraggiosa del compianto statista trentino, ha dato i suoi frutti: l'Italia fà parte dell'ONU e siede al «Consiglio di sicurezza»; il Patto atlantico ha resistito a tutte le minacce dell,impero sovietico» ed all'usura delle alterne vicende della politica interna degli stati dell'Europa Occidentale; il territorio di Trieste, dopo pochi mesi dalla morte di De Gasperi è stato restituito all'Italia, ma diversa sarebbe stata la sorte della «zona B» se la forte sua personalità fosse rimasta in vita ed alla guida del Paese; l'unità dell'Europa, infine, dopo lo «choc» provo.to dalla caduta della CED in Francia è in cammino, cammino faticoso disseminato di spine e di contraddizioni, ma comunque promettente. Un problema è rimasto ancora aperto, inchiodato alla dura croce dei giuliani: la revisione del Trattato di Parigi e la ferita non è ancora rimarginata, dopo il piccolo e breve spiraglio aperto alle nostre speranze, dalla restituzione di Trieste all'Italia. Il popolo italiano ha scelto l'unione col mondo democratico, togliendosi da un isolamento che per la nostra Nazione, scarsamente dotata di materie prime e di mezzi finanziari, poteva riuscire fatale. L'Italia ha proclamato, tuttavia, alto l'eguaglianza dei diritti delle nazioni grandi e piccole, permeando la comunità atlantica e quella europea da uno spirito di democrazia, fondato su alcuni principi generali, propri degli uomini liberi e non solo sul numero delle divisioni corazzate dei singoli partecipanti. Principi morali e principi politici, rispetto dei diritti umani, ecco, parche., affermava De GaSperi, l'Italia non potrà mai allearsi con stati totalitari. La cooperazione esige una certa identità o un qualche parallelismo nei principi e nel sentimento ed una pur limitata coincidenza su alcuni criteri fondamentali della convivenza. Il regime può essere diverso, ma la diversità non può arrivare fino ad essere contradditoria circa ponti essenziali, quali per esempio, i diritti della persona umana. La democrazia deve essere ottimista e paziente, essa però deve guardarsi dagli errori del passato, che erano forse difficilmente evitabili, ma che portarono alla conseguenza che una guerra ingaggiata per la libertà e la democrazia, finisse, invece, con l'imporre ad un gran numero di paesi europei il dominio coMUnista o la minaccia della stia conquista. Se la mano cí viene tesa onestamente noi non la rifiutiamo, ma la stano deve essere aperta, sincera riparatrice. In questi giorni, in cui ricordiamo, nella tristezza, il grande esodo del nostro popolo dalla sua terra, una ,commissione italo-jugoslava si trova occupata a Belgrado in questioni marginali di frontiera ed all'esame di questioni giuridiche e di principio che paiono innocenti, ma che presentano una pericolosità, che oserei definire, incendiaria; mi riferisco al sistematico tentativo oggi in corso da parte jugoslava di inserire a Trieste il ,,bilinguismo» che se introdotto anche di forza, segnerebbe la fine della storia giuliana ed italiana delle genti dell'Adriatico orientale. Nei giorni che si sono seguiti n. nostro Paese, dal 1954 ad oggi, né l'attuale Governo né quello che seguirà, sperabilmente, con la presidenza del designato On. Segni, potranno acconsentire alle assurde pretese di Belgrado, senza che un eventuale deprecai,ile cedimento in attesta delicata e vitale questione, non ponga Trieste nelle condizioni di difendere da sè e con ogni mezzo legittimo, il suo diritto di vivere e prosperare pacificamente, entro i confini di quella Patria, per la cui unità e libertà ha sacrificato i suoi figli. Dobbiamo, in questa occasione, richiamare, piuttosto, l'attenzione del nostro governo e di quello jugoslavo ai problemi che stanno alla base di una auspicabile, pacifica intesa e cooperazione fra i due popoli. Dobbiamo guardare la realtà in faccia, e non dimenticare che a Parigi venne imposto al nostro Paese un trattato iugulatorio, in dispregio alle leggi naturali ed al principio dell'autodecisione dei popoli, e che pertanto mai i giuliani potranno decampare dalla rivendicazione dei loro diritti. Il «Memorandum di Londra», dell'ottobre del 1954, che i giuliani non hanno redatto, nè sottoscritto, intendeva di risolvere, provvisoriamente, il problema dà-l'amministrazione della Zona B, rimasta giuridicamente terra italiana, anche dopo l'occupazione straniera, ponendo, dopo le vicende diplomatiche, che voi conoscete e che duravano dal 1945, la popolazione della Zona A e della Zona B, (non diciamo minoranza, perchè, tanto nella Zona A, quanto nella Zona B, territorio che le potenze alleate con le note lei e bipartite del 1948 e del 1953 avevano riconosciuto italiano la maggioranza etnica era italiana), su un piano di completa reciprocità. Questa reciprocità è completamente mancata, per la mancata osservanza dell'accordo, da parte jugoslava, la quale, semplicemente eliminò l'oggetto principale dell'accordo, la pacifica permanenza della popolazione italiana della Zona B, allontanandola con l'insidia e con la forza dalla sua terra. I problemi in discussione a Belgrado, sono quindi viziati all'origine; reciprocità ed equivalenza pratica nelle concessioni alle rispettivc minoranze, non è possibile che trovino per ora una leale applicazione, causa la differenza di struttura dei due regimi. I democratici concepiscono la libertà uguale per tutti, come la legge, e senza aggettivi; per i comunisti essa ha un significato limitativo e di parte. A proposito del bilinguismo, riportiamo qui, quanto in proposito scrive il settimanale dell'Azione Cattolica di Trieste: «Vita Nuova, Il bilinguismo: se si vuole considerarlo con occhio politicamente realistico, ha un valore del tutto diverso a seconda che si tratti di Zona B oppure di Zona A. In Zona B la Costituzione jugoslava e le tradizioni linguistiche locali dovrebbero permettere la continuazione pacifica e generalizzata della parlata italiana. A Trieste il bilinguisrno,nel senso in cui viene dalla Jugoslavia interpretato sulla base del Memorandum d'Intesa, diventerebbe in atto contro natura. Nesumo può negare che nella stia lunga storia Trieste ha 4vuto costantemente una sensibilità irriducibile nei riguardi della sua italianità; le, pertanto, rendere bilingue ogni settore cd ogni luogo triestino sarebbe modificare senza alcuna ragione la città di San Giusto nella sua intima natura. Vi sono dei limiti — e non occorre citarli ai triestini — che sono assolutamente invalicabili. [...] confessabile — nè pratico nè ideologico — per andare contro tali esigenze della natura introdotto anche di forza segnerebbe la fine della struttura triestina. Ma qui non dobbiamo dimenticare quello che non va dimenticato mai: l'ingiustizia radicale della situazione. 250 mila italiani sono stati violentemente costretti ad abbandonare la loro terra. Questa violenza fu imposta dal regime di Tito e fitto a che non saranno sanati gli effetti di questo iniquo e imposto espatrio il Governo di Ti. non avrà mai diritto di reclamare. Vi è di più. Firmato il Memorandum, la Jugoslavia lo ha violato nella sua parte sostanziale. Esso prevedeva la rapida apertura dei blocchi, ingiustamente chiusi, la possibilità per gli italiani di rimaner, nella zona e per gli esuli di ritornare alle proprie terre e case. La Jugoslavia tenne chiusi i blocchi per dieci mesi su dodici, creò un clima di carcere e di terrore e provocò, cosi, violentemente l'esodo di quasi tutti gli italiani e impedì il ritorno degli esuli. Dopo di aver modificato cosi, la situazione a suo favore violando in modo disumano e sfacciato il Memorandum, ora osa protestare contro l'Italia, che avrebbe dovuto dichiararlo decaduto e che invece lo ha osservato. Qualcuno può considerare, lodevole trattare; trattare è sempre bene, ma non bisogna stancarsi di dire di no, come gli slavi non si stancano di pretendere l'impossibile: diversamente, la trattativa in corso, perchè si apra una scuola italiana di più in Zona B, o se ne levi, ai pochi connazionali rimasti ancora laggiù, una di meno, per noi si ridurrà al «cacciare farfalle sotto l'arco di Ti lo, Riandando alla triste giornata del 10 febbraio 1947, coll'esodo in massa dei cittadini di Pola e lo stillicidio che ne seguì da tutto il territorio italiano della Venezia Giulia, non possiamo in nome della verità e della chiarezza e dell'onestà politica rassegnarci ad accettare e per sempre, la spartizione delle nostre terre, lasciando alla Jugoslavia il bottino di 8.257 chilometri quadrati di territorio :italiano, mantenendovi il «.tino» di 695 Kmq. di superficie, compresa l'area di Trieste. Possiamo rassegnarci a considerare, definitiva, la cacciata dalla terra dei nostri padri, di almeno 250.000 conterranei giuliani, fiumani e dalmati? Se i principi del diritto delle genti sanciti dalla «dichiarazione universale dei diritti dell'uomo» adottata dall'«Assemblea delle Nazioni Unite», il 10 dicembre 1948 e sottoscritta anche dalla Jugoslavia, deve -rimanerealize-bese-di rapporto internazionale, un riavvicinamento che sia franco e leale, fra i due popoli, non può essere londato sulla ipocrisia, riè sulla sopraffazione. Un solo rimedio vi è per tale situazione, che parrebbe per i pigri, gli accomodanti ed i violenti, senza via d'uscita: 4a pacifica revisione del trattato di pace di Parigi», revisione invocata 10 anni fa dall'On. De Gas, rià Egli mi confidò spesso le sue speranze nella soluzione del problema giuliano, nell'ambito della comunità europea. In questa nuova famiglia di Nazioni e libere Patrie, si sarebbero sanate anche le storiche e sovente tragiche questioni di confine. In attesa di giorni migliori per le nostre terre, ripetiamo a malincuore, ma in piena coscienza e con alto senso di responsabilità che ci proviene dalla nostra educazione e formazione cristiana, che il Trattato di Parigi fu iniquo e punitivo; fu un compromesso dovuto alla situazione precaria della casuale alleanza Russia-Alleati, fu desiderio di arrivare, in una forma qualunque e a qualunque prezzo che l'Italia soprattutto pagò con 'le sue torre e colonie, alla pace, anche se pur precaria e malferma; tuttavia fù iniquità che grida vendetta al cielo, punizione ingiusta e sproporzionata agli ertoti di un , vento e che non possiamo accettare, anche perché ci proviene da chi come la Jugoslavia non potrebbe onestamente affermare di aver vinto la guerra contro quell'Italia, che prima l'aveva largamente beneficata; verso un paese democratico, dal quale non c'è da paventare pericoli, ma dal quale, forte dei suoi 50 milioni di abitanti, e da una economia in forte ripresa, può invece attingere, in ogni campo, economico e culturale, larga assistenza e cordiale aiuto. Il bruciante ricordo di dodici anni fa, pesa dolorosamente, come un irreparabile lutto, sulla nostra dispersa famiglia; ciononostante, le minoranze di altre lingue, che vivono entro i confini dell'Italia democratica, godono di tutti i diritti civili e della protezione delle leggi, al pari di ogni cittadino eli lingua italiana. Forti delle armi pacifiche di un popolo libero, la richiesta della revisione del trattato di pace, da questa Gorizia, fiera della sua italianità e pur duramente sacrificata dal verdetto di Parigi, suo., non minaccia, ma invito ad ampie aperture ed intese per ritessere, sulle due sponde dell'Adriatico, la trama di una fraternità oggi ancora tradita.

Dal numero 1160

del 24/02/1959

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