Capodistria, Sandrino e i “liberatori” invasori jugoslavi CARLO MONTANI - foto

- foto La letteratura sull'esodo giuliano e Dalmata, e la ricerca storica sul- le vicende politiche da cui ebbe origine e che gli fecero seguito, sono state caratterizzate, in specie negli ultimi anni, da contributi improntati ad una corretta valutazione critica, tanto più necessaria ad oltre mezzo secolo da quegli eventi, e quindi, nella prospettiva di un inquadramento storiografico per quanto possibile oggettivo. La fioritura di studi e di memorie che ne è derivata, soprattutto negli ultimi anni, ha contribuito a diradare la cortina di silenzio che per molto tempo aveva condizionato l'informazione sulla tragedia delle foibe e sulle reali motivazioni di un esilio che, non è male ricordarlo, coinvolse 350 mila italiani incolpevoli in un dramma i cui effetti ne hanno segnato tutta la vita. Questo libro di Nidia Cernecca, figlia di una delle tante Vittime condannate all'estremo sacrificio dal regime nazionalcomunista jugoslavo del Maresciallo Tito e dalla pulizia etnica programmata per dare una parvenza di legittimità alle sue prevaricazioni, si distingue, in un contesto bibliografico che pure ha assunto dimensioni di grande ampiezza, per avere riassunto in un avvincente romanzo storico basato sulla conoscenza diretta di uomini e cose, e su spunti autobiografici toccanti come quello dell'albero d'ulivo alla cui ombra il protagonista cerca motivi di conforto e di speranze, i momenti essenziali di una sventura collettiva, fatta di indicibili sofferenze individuali. La vicenda di Sandrino, un adolescente di Capodistria che cresce in fretta nello straziante confronto con le angherie e le persecuzioni dei “liberatori”, con le quotidiane difficoltà economiche della sua famiglia, con problemi scolastici sem- pre più duri per i giovani italiani, e soprattutto, con la fuga del padre e con la prematura scomparsa della mamma, è davvero emblematica. Capodistria si trova nella Zona “B” del cosiddetto Territorio Libero di Trieste, che fino al 1954 si era sperato di salvare dall'annessione alla Jugoslavia: proprio per questo, se gran parte dei fiumani aveva scelto l'esilio già dal 1945, mentre i polesi furono costretti ad una drammatica partenza collettiva nel 1947, quando il “diktat” vanificò d'un colpo le loro illusioni, le sofferenze dei capodistriani e degli altri italiani della Zona “B” furono prolungate da un interminabile stillicidio di insulti e discriminazioni, non disgiunti da violenze ed uccisioni indiscriminate, ma nello stesso tempo, dalla propensione a rinviare l'esodo, perché sorretta, nel cuore di molti, da quella speranza. Resta il fatto che l'esilio fu un'esperienza durissima per tutti: non soltanto perché, come ricorda l'Autrice, a Venezia furono fischiati i profughi in arrivo da Pola, perché ad Ancona i pescherecci locali tentarono di impedirne lo sbarco, o perché a Bologna i ferrovieri comunisti impedirono alla Pontificia Commissione di Assistenza di distribuire un pasto caldo al passaggio di un treno carico di esuli istriani; ma prima ancora perché, al di là di questi episodi tristissimi, ormai consacrati nella memoria collettiva e nella stessa storiografia ufficiale, i campi di raccolta, alcuni dei quali rimasero in funzione sino al termine degli anni sessanta, furono luoghi di vita allucinante, su cui Nidia Cernecca si è giustamente soffermata, come sulle difficoltà di trovare casa e lavoro, motivo non ultimo dell'emigrazione verso Paesi lontani cui fu costretto un buon quarto dei profughi. L'Autrice, senza indulgere al soverchio, e conservando un approccio asciutto ma partecipe, conforme alle esigenze di documentazione sintetica ed esauriente del lettore moderno, arricchisce il suo contributo alla conoscenza storica con un vivace apporto stilistico e con suggestive digressioni poetiche, come quelle sull'albero di Sandrino, sul mare e sulla terra d'Istria, e naturalmente, sugli affetti familiari, che certo non guastano; ma senza trascurarne il contrasto con la tragedia incombente e con episodi agghiaccianti come quello dell'aggressione nazionalcomunista al Vescovo Santin, venuto a Capodistria per impartire la Cresima, e bastonato a sangue dalla protervia degli invasori. Nidia Cernecca ha dato un contributo importante alla Causa giuliana e dalmata con un'opera notevole anche dal punto di vista psicologico, nel senso che intende rimuovere quella sorta di intima riservatezza con cui buona parte degli esuli ha evitato di diffondere la memoria del proprio dramma, ritirandosi nella torre d'avorio di un dolore difficilmente comprensibile da chi non ha provato quanto sia duro “lo scendere ed il salir per l'altrui scale”. Non a caso, si conclude con un acronimo che ne costituisce la sintesi, e nello stesso tempo, esprime un preciso programma morale: “Non solo la morte è tragedia, ma è tragedia la storia che non si sa”. Il romanzo si legge d'un fiato, e volentieri, tanto più che è arricchito da una presentazione grafica ineccepibile e da una pertinente documentazione iconografica, per non dire dell'appendice storica di Luigi D'Agostini, destinata ad un inquadramento della vicenda giuliana e dalmata ad uso dei troppi ignari, ma anche di quanti vogliano approfondirne la conoscenza: ad esempio, sempre in materia di persecuzione contro la fede religiosa degli esuli, quando si rammenta che i sacerdoti uccisi dal regime jugoslavo furono 430, fra cui 37 istriani, e che quelli incarcerati raggiunsero i duemila, per non dire dei Vescovi morti durante la detenzione. Lo stesso discorso vale per il terrore instaurato dai partigiani con la stella rossa sin dalla prima ondata di infoibamenti nel tremendo autunno del 1943, o per le inconfutabili connivenze dei comunisti italiani con gli appetiti titini che, non contenti di avere fatto un sol boccone dell'Istria e della Dalmazia, avrebbero voluto portare il confine sul Tagliamento, impadronendosi anche di Gorizia e di Udine. La conclusione, firmata da Augusto Sinagra, Ordinario di Diritto Internazionale all'Università “La Sapienza” di Roma, pone l'accento sul fatto che i processi agli infoibatori, pur nella surreale dichiarazione di incompetenza pronunciata per difetto di giurisdizione, sebbene i fatti denunciati avessero avuto luogo quando in Istria era ancora vigente la sovranità italiana, hanno “ritenuto certa” la colpevolezza degli imputati, suffragando l'irreversibilità del giudizio storico, ed affermando che il popolo giuliano e dalmata ha pieno diritto di definirsi tale perché “conserva la memoria di se stesso e dei suoi Morti”. CARLO MONTANI Il libro, prezzo 14 €, lo si trova alla libreria “Italo Svevo ”a Trieste e può essere ordinato via internet (http://www. edit. hr/bookshop/catego ria1.htm)

Dal numero 3294

del 28/02/2008

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