Documenti sull'Istria - Marina Martin - foto

foto Didascalie: Interno del Duomo di Pola restaurato dalla Soprintendenza ai Monumenti negli anni 1946-47 Duomo e Parco delle Rimembranze a Pela prima della bufera dell'ultima guerra Mi sono occupata della storia di Umago e di Materada, rettificando un piccolo errore in cui involontariamente Fulvio Tomizza è incorso nel suo romanzo «La miglior vita» (notavo che nel 1600 il vescovo di Cittanova non aveva giurisdizione su Materada). Intanto su Tomizza si è riaperto un processo critico politico che si concluderà con un «autodafè»... o forse qualcuno che non ha mai letto niente di Tomizza, comprerà (o si farà prestare) i suoi romanzi. Oscar Wilde raccomandava di perdonare gli avversari; niente li infastidisce di più. Ma ecco un po' di bibliografia su Materada. C'è un libretto di Don Ernesto Fumis, che — come ho già scritto — l'autorevole prof. Sergio Cella ricorda come «nato a Fiumicello, sacerdote, autore di pagine di storia umaghese, parroco e decano di Umago dal 24. 6. 1907 al 13. 3. 1932, data della sua morte». Qualche notizia si può trovare nel «Ruolo cronologico dei vescovi di Cittanova d'Istria», opera di Francesco Babudri, che, sempre citando il prof. Cella, è autore di saggi di storia ecclesiastica e di folklore istriano, e nativo di Parenzo. Naturalmente, non si può dimenticare quelle «Cronologie, genealogie ecc.» di Gedeone Pusterla, pseudonimo di Andrea Tommasich, capodistriano; e poi l'insostituibile lavoro «L'Istria — note storiche» di Carlo De Franceschi. A proposito di quest'opera, pubblicata a Parenzo nel 1879 (quindi, quasi cent'anni fa) trovo con grande stupore che l'autore non scrive mai «Draguccio», ma «Draguch». Anzi, citando una donazione del 1102 del conte Voldarico, esprime l'ipotesi che il nome originario fosse Druine, o Dravuie. Carlo De Franceschi (citando sempre il prof. Cella) apparteneva ad una famiglia di patrioti. Visse dal 1809 al 1893, fu deputato liberale a Vienna nel 1848, segretario della Dieta istriana del «Nessuno», storico e giornalista di valore. Ma scrive «Draguch» e non «Draguccio»; perciò, come, Tomizza, Carlo De Francesci non sarebbe un vero istriano. Il che mi sembra quanto meno azzardato. In una felice nota redazionale comparsa su Arena n. 2025 si legge: «le impostazioni a senso unico non possono reggere sul piano storico, e finiscono sempre con l'essere sconfessate o corrette dell'evidenza dei dati di cronaca di cuí non si può fare a meno». Mi pare un discorso serissimo ed equilibrato; a parte il fatto che un «ch» in più o in meno, almeno per quanto so, non garantisce né la nazionalità né í sentimenti. Marina Martin

Dal numero 2028

del 04/04/1978

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