Con Carbonetti, giovani - GIORGIO MONAI - foto

foto Didascalia: Il primo a sinistra è Antonio Carbonetti; io sono quello al centro in alto (ero montato su un muretto a secco) Il mio ultimo incontro con Antonio Carbonetti fu quello di Settignano nel 1974: centenario della morte di Nicolò Tommaseo. Servì per cementare la nostra vecchia amicizia ed a dare la stura ai nostri trascorsi sebenicensi, conditi dalle immancabili geremiadi. Lo trovai un po' amareggiato dal ricordo di una persona scomparsa in quei giorni: persona che lui aveva difeso, in tempi difficili, ottenendone umana incomprensione. Parlammo dunque di Sebenico, gli dissi che in un recente ritorno (Illyricue ama chiamarla «rimpatriata») avevo visto nel bianco cimitero di Sant'Anna la sua tomba di famiglia. Strana tomba in marmo nero volta a monte. Sembra una desolata scolta sotto un cielo di cobalto. Ma è poi un cimitero quello di Sajit Anna? Decisamente no perché non c'è niente di triste, niente di dimesso e di separato. Domina la città e guarda un mare bellissimo, una costa di sogno. E' solo un rifugio di trapassati, protetti da poca terra di riporto, in attesa del grande giudizio di Dio, solo padrone. Ci sono stati altri raduni dopo quello di Settignano: Carbonetti non mancò mai, io sempre. E non me lo ha mai perdonato. Forse avevo ragione io quando, per celia, gli citai qualche verso del misero Catullo: «desinae ineptire, et quod videe perisse perditum ducas, fulsere quondam (!) candidi tibi soles». Per fortuna in quel momento Illyricue non era vicino a noi, diversamente avrei trovato in lui materia incandescente per una interminabile dissertazione. Egli era troppo preso dalla logistica: la ricorrenza del 1o maggio minacciava di smembramento il nostro modesto gruppo. L'avere scomodato Catullo a Settignano fu facile profezia. Infatti con Carbonetti ci fu ancora qualche scambio epistolare. L'ultima lettera che gli scrissi il 12 gennaio 1976 non ebbe la solita solerte risposta: Antonio era morto il giorno prima, se ne era andato in silenzio. Ma non a Sant'Anna. La mia ultima lettera scaturiva da un desiderio di riesumare vecchie fotografie del periodo dell'occupazione italiana di Sebenico, antecedente il trattato di Rapallo, vecchio strettissimo parente di quello di Osimo. Ma senza scomodare il mago Illyricue vediamo uno'., _nella versione di basta legt, cosa diceva Catullo: «deh cessa dal vaneggiare,,_guello che e perduto ritienilo pertcriló, acqua passata non può ritornare indietro. Fulsero "un giorno" per te candidi soli». Ma la malinconia delle cose perdute è dura a morire ed allora perché non ricavare da una vecchia fotografia del mese di maggio 1919, fatta a Scardona, coi giovani esploratori di Sebenico, in vista delle famose cascate del Kerka (Titio) l'immagine di Antonio Carbonetti al mio fianco? E' un ragazzo di 12 anni, un ragazzo in gamba che sa muoversi nella vita, contento di indossare una divisa, un copricapo con coccarda tricolore. Un ragazzo che non aveva paura di avere coraggio. Generoso, buono, disperatamente innamorato della sua terra di Dalmazia, per la quale è vissuto e ha sofferto con dignità e fierezza. GIORGIO MONAI

Dal numero 1990

del 28/06/1977

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