STORIA Le suore dell'O.M. lasciano Pola - P. AMEDEO NASELLI - foto

foto Didascalia:L'ingresso dell'Ospedale della Marina a Pola XII Comandavano gli stranieri — scrive ella nel Diario — non comprendevo bene se Inglesi o Tedeschi... forse più i primi. Tutta la .bellezza e giocondità era sparita... e pensavo: che potrà succedere?... Mi sentivo tanto triste ed addolorata per tanti dolori, che sarebbero avvenuti ai figli ed ai figli dei nostri figli. Mentre così pensavo, all'improvviso mi si fece innanzi una veduta più spaventosa: vidi come tutto il mondo intero distrutto (da guerre)... allora fui presa da grandissimo strazio e non sapevo se [c'] era Gesù e chiedevo: c'è Gesù? dov'è Gesù?... (pagine 41-42). La visione ebbe termine con la contemplazione dell'immutabilità e serenità di Dio, sempre uguale a se stesso anche nei più gravi disastri che colpiscono l'umanità. Che misteriosa beatitudine quella! ella pure l'avrebbe gustata un giorno, adorando e godendo eternamente. Ma su questa terra il suo posto era con gli uomini, per soffrire con loro e sentire i mali della patria; per riparare, quale vittima grata al Signore, i peccati di tutti. Sotto questo aspetto la guerra non fece che urgere la sua immolazione, che ella intencausto. La situazione, poi, dell'Istria, regione di confine, e specialmente di Pola, il maggior porto militare sotto l'Austria, ed ora la più potente piazzaforte italiana dell'alto Adriatico, destava vive preoccupazioni negli abitanti, soprattutto dopo la dichiarazione di guerra dell'Italia alla Jugoslavia nell'aprile 1941. Suor Tarsilla si era recata proprio quel giorno (Domenica delle Palme) in Cattedrale, assieme ad una consorella, per «fare più ore d'adorazione». Al ritorno in ospedale trovò tutte le suore in ambascia. Si erano «affaticate a preparare un reparto di chirurgia a pianterreno nelle stanze antigas». Io — annota la Serva di Dio nel Diario — avevo il pensiero di preparare i letti per tutte le suore dell'Asilo, perché avevano timore e si sentivano più sicure all'Ospedale... Il Lunedì Santo, mentre me ne stavo triste e pensosa [per la guerra], al tempo dell'Offertorio, il Signore guardandomi dal Tabernacolo mi disse: Stai tranquilla: a voi non vi accadrà nulla (p. 63). Ciò bastò perché Tarsilla mantenesse sempre la più grande tranquillità, incoraggiando consorelle, ammalati e personale dell'Ospedale, che più tardi fu trasportato nei sotterranei dell'edificio, dove pure le suore passarono tante ore in volonterosa adorazione dinanzi al SS. Sacramento, adattato alla meglio in una squallida e fredda parete. Anche quando le sorti della guerra volsero a sfavore dell'Italia e l'Istria conobbe il periodo più tragico della sua recente storia, ella apparve all'Ospedale quale angelo di pace ed asilo di sicurezza. I bombardamenti aerei e navali martoriavano senza fine la città e il suo porto, gettando il popolo nella miseria e nel terrore; ebbene Suor Tarsilla non si scomponeva e meravigliava tutti per la sorprendente calma con cui seguiva e sopportava quelle prove. Animava gli ammalati e le suore, li accompagnava sempre sorridente al rifugio, assicurando bonariamente le consorelle: «Non vi spaventate, sorelle... è solo un piccolo bombardamento navale!». Immaginarsi lo stupore comune, che necessariamente sfiorava l'ilarità pur in quei momenti di fuggi fuggi generale. Tuttora le suore, che furono accanto a lei in quei momenti, non possono fare a meno di ricordare la bella espressione di Suor Tarsilla, sottolineandone la semplicità e l'incanto spirituale, ed aggiungendo le altre espressioni con cui ella cercava di rasserenarle e distrarle da sentimenti di angoscia: «guardate che bei colori vengono giù! non vi sembrano delle splenidde luminarie?». Nessuno, però, sapeva che dietro quella mirabile tranquillità stava la parola rassicuratrice del Signore. Difatti nessun danno ebbero a lamentare le suore né nelle opere né nelle persone, ad eccezione del reparto dell'isolamento, che restò distrutto assieme alla cappellina riservata agli infettivi, e di una parte del Giardino d'Infanzia, non lungi dall'Ospedale. L'occupazione tedesca prima e quella anglo-jugoslava poi portarono naturalmente con sé odi, repressioni, uccisioni, comuni ad ogni passaggio di eserciti in lotta. L'Ospedale attraversò ore dolorose, dopo l'evacuazione della Marina italiana e l'invasione straniera. Le condizioni diventarono sempre più critiche e la popolazione italiana fu costretta a lasciare case e beni, alla ricerca di salvezza oltre Trieste, dinanzi all'incalzare delle truppe titine. I profughi non si contavano più e le Suore dei SS. Cuori, su consiglio anche del Vescovo, Mons. Raffaele Radossi O.F.M. Conv., poi Arcivescovo di Spoleto, loro malgrado dovettero abbandonare, a gruppi, le loro tre case, con rimpianto della cittadinanza superstite. Si rifugiarono nel centro-Italia. Suor Tarsilla fu tra le prime a raggiungere Roma il 22 agosto 1945, dove si trattenne per alcun tempo nella residenza generalizia, allogata provvisoriamente presso i PP. Pallottini, in Via Pettinari (dal 1939 al 1951). Per lei non si trattava di semplice trasferimento, come per altre suore, ma di vera fuga, dal luogo che l'aveva vista nascere, dove aveva trascorso 50 anni di vita nella casa paterna e nel chiostro e dove lasciava le ossa della mamma amata, dei fratelli, dei parenti. Un ricordo di amarezza e di lacrime. Ma anche di giubilo e di ringraziamento al Signore, perché poteva portare con sé, nel suo cuore, nella sua anima, il frutto di 20 anni di vita religiosa, trasformatasi in vera ascesa mistica a fianco di migliaia e migliaia di ammalati. Oh, cappellina dell'Ospedale, testimone di tante notti di preghiera, di tan-te Comunioni serafiche, di tante visioni e grazie del S. Cuore! corsie, sale e corridoi, dove lei aveva dato la scalata al monte della santità! Come dimenticare Pola?!... Suor Tarsilla trapiantava altrove l'albero della santità, perché fruttificasse ancora più e stendesse i suoi rami su altre anime, come il Salmo (91, 13) canta del «giusto che fiorisce come palma e ramifica come un cedro del Libano». E quando si giunge a questa statura e a questa fioritura è tempo per il celeste trapianto. P. AMEDEO NASELLI

Dal numero 1992

del 12/07/1977

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