ITINERARI DELLA MEMORIA 31 marzo 1910: la bora rovescia la Parenzana - GIULIO ROSELLI - foto

foto Didascalie: La carrozza passeggeri completamente distrutta Locomotiva U 23 deragliata, bagagliaio e vetture passeggeri rovesciate, carro merci a sponde alte rimasto sul binario lungo la sponda sinistra del Rio Ospo (Becca) rivestito di pietrame (in fondo la trattoria «Alla Stazione») davanti alla locomotiva due carrelli soccorso attrezzi giunti da Capodistria L'intero convoglio rovesciato sulla curva alla foce del Rio Ospo presso la stazione di Muggia (visibile sullo sfondo il ponte che segnava il confine tra il territorio di Trieste e quello della Repubblica di Venezia) Convoglio con locomotiva U 30 rovesciato dalla bora nel 1908 sulla ferrovia Spalato-Sinj; tre carrozze si sfasciarono sul costone roccioso Nel tardo pomeriggio del 31 marzo 1910 si diffondeva a Trieste, nell'Istria e nella nostra 'intera regione un annunzio catastrofico: il trenino di Parenzo era stato rovesciato dalla bora; c'erano morti e feriti! Una notizia del genere oggi quasi non farebbe più cronaca, abituati come siamo a vivere ogni giorno ìn mezzo ad incidenti, piccoli o grandi, che con spietata e metodica continuità falcidiano il genere umano: scontri, tamponamenti, roghi di macchine nella nebbia, treni che saltano, aerei che precipitano, bombe che scoppiano ed altre avversità a non finire. Nel nostro convulso modo di vivere tutt'al più ne scorriamo frettolosamente i titoli e solo se la notizia ai riguarda da vicino dedichiamo qualche minuto alla lettura dell'avvenimento o al commento dello stesso. Nel 1910 invece la vita si svolgeva in una quasi arcadica tranquillità. I nostri padri costituivano allora la «generazione felice» che aveva la fortuna di vivere uno dei più floridi e tranquilli periodi di pace di quella piccola Europa unita che d'impero absburgico era riuscito a stabilire pacificamente — bella gerant alii, tu felix Austria nube — nel cuore dell'Europa. Il lungo periodo di pace che era seguìto agli scossoni del secolo da un decennio trascorso aveva portato la stabilità monetaria, fiorire delle industrie, l'espandersi di favorevoli rapporti economici ed anche la nostra regione ne fruiva iin maniera che mai più le capitò di godere. In questa idilliaca atmosfera la ferale notizia scoppiò come un fulmine a cielo sereno, che poi sereno non era, anzi era invece nero e gonfio. L'inverno era ormai passato, metereologicamente ed astronomicamente, ma come talvolta accade nel pazzo mese di marzo una improvvisa recrudescenza del freddo e della bora si verificò in quell'epoca proprio sul finire del mese, costringendo la gente a risfoderare la classica «pelissa de San Giuseppe», anche se un po' 'in ritardo rispetto alla ricorrenza. In quella fine di marzo li cielo gonfio di nubi minacciose portate dalla bora nera che soffiava a 100 e più chilometri all'ora non prometteva niente di buono e ognuno cercava di scansare l'immanente pericolo minacciato dalla furia del temuto e rovinoso vento. Anche il trenino Parenzo, piccolo e inerme di fronte alle raffiche veementi che in qualche punto più esposto si potevano paragonare a gigantesche mazzate si era difeso rimanendo al riparo 'lungo la pensilina della stazione di S. Andrea. I dirigenti ferroviari, che fin dall'inverno del 1902 — all'inizio dell'esercizio della piccola ferrovia — s'erano accorti che senza adeguati provvedimenti trenino non avrebbe potuto superare indenne alcuni punti particolarmente pericolosi della linea (la piana di Zaule e quella delle Noghere) avevano statoilito la sospensione delle corse qualora la velocità dell'a bora avesse superato un certo 'limite ritenuto pericoloso, in attesa della costruzione di quei ripari antibora cui progetto era da anni rinchiuso nei cassetti a causa di urna accanita opposizione che proveniva proprio dai rappresentanti dei due Comuni maggiormente interessati: Trieste e Muggia. Così era avvenuto anche in quel 31 marzo 1910. Il treno delle 9,20 per Buie era stato sospeso e non era neppure partito il vaporino che collegava Muggia a Trieste. Nelle prime ore del pomeriggio nel-'l'atrio della stazione di S. Andrea un folto gruppo di viaggiatori premeva per ritornare a casa, chi a Zaule, chi a Muggia, chi nelle altre vicine cittadine •striane. La bora che aveva soffiato fortissima durante la notte e ,nella 'mattinata (aveva provocato in città e nel porto danni per migliaia di corone) sembrò diminuisse la sua violenza e il treno delle 3,10 pomeridiane per Buie venne fatto partire con sei carrozze cariche di 180 viaggiatori, buona parte dei quali diretti a Muggia causa il mancato funzionamento del va-parino. In testa al treno c'era il solito bagagliaio ed in coda un carro a sponde alte carico di ghiaia cui frenatore doveva tenere i ceppi dei freni serrati durante le discese allo scopo di mantenere sempre 'in tensione le carrozze onde renderle più statoili sullo stretto binario dello scartamento ridotto. Senza inconvenienti Fil convoglio percorse il tratto meno esposto fino a S. Anna e superò il cavalcavia di Giarìzzole passando sotto quel ponte che — ultimo ricordo della linea Trieste-Parenzo — è stato demolito proprio qualche settimana fa. Ma già nella piana di Zaule qualche raffica più forte delle altre aveva fatto traballare le carrozze. Tuttavia si proseguì senza ulteriori 'inconvenienti oltrepassando la fermata di Monte Castiglione e la stazione di Zaule fino alla punta di Stremare. Fu qui che id destino crudele attendeva il treno quasi a confermare le previsioni di quei pessimisti quali da anni sostenevano che prima o poi il sia pur utile trenino-giocattolo sarebbe rimasto vittima del suo più •mplacabile nemico: la bora. Il treno infatti, uscendo dalla punta di Stremare, oltrepassò a livello la strada per Muggia e si immise nella piana delle Noghere. Superata la ,Rosandra sul ponte a traliccio metallico, iniziò la grande curva a 180o che precedeva la stazione di Muggia, offrendo in pieno 51 fianco sinistro alla violenza della bara. Già stava rallentando per entrare nella stazione quando una raffica più forte delle altre fece uscire dalle rotaie la prima carrozza passeggeri, quella che si trovava dietro il bagagliaio. La carrozza saltellò per qualche metro sulle traversine poi si rovesciò sul fianco destro verso l'esterno della curva proprio nel punto in cui esisteva una bassura melmosa, fracassandosi e trascinando nella caduta bagagliaio, che si 'appoggiò sul terreno con il fianco destro, e via via de altre carrozze che seguivano e che fortunatamente s'i inclinarono affondando, senza rovesciarsi, nel terreno motoso; la 'locomotiva —era la U 23 — era anch'ess'a deragliata e si era subito fermata cari le ruote affondate nella ghiaia della linea. Solo, in coda, era rimasto sulle rotaie il carro-zavorra. Id personale del treno e malti dei passeggeri accorsero con encomiabile slancio verso la carrozza sfasciata e quelle maggiormente inclinate, dalle quali si levavano lamenti e invocazioni di aiuto, mentre dalla vicina stazione veniva dato l'allarme a Trieste e a Capodistria che immediatamente organizzavano dei treni soccorso. Frattanto dai vicini cantieri di Muggia accorrevano squadre di operai che 'iniziavano prontamente d'opera di estrazione delle vittime dai rottami della carrozza sfasciata e da quelle rimaste 'ifi bilico che tosto vennero puntellate. Tre erano i morti: id dott. Giuseppe Si'mcic di 32 anni, giudice a Capodistria (era salito sul treno a Monte Castiglione, reduce d'a un sopralluogo a S. Dorligo della Valle), il negoziante Giovanni Piuka 40 anni da Buie e 'l'impiegato di 31 anni Sigismondo Psenner; otto eran i feriti gravi, sette quelli leggeri. Gli altri passeggeri contusi sii raccolsero nella vicina trattoria «Alla Stazione» (visibile nelle foto ed ancor oggi immutata), mentre quelli incolumi si riunirono nella stazione di Muggia ove vennero raccolti da un treno giunto da Capodistria. A Trieste le prime incontrallabili notizie parlavano di 23 morti e di moltissimi feriti. La città era stata preservata per lungo tempo da sciagure di tale portata e il trauma provocato dalla notizia dell'incidente scosse profondamente tutta la cittadinanza. Narrano le cronache del tempo, che l'entrata precipitosa delle guardie al Caffè degli Specchi, al Caffè Municipio e in altri primari locali di trattenimento della città invitando i medici che vi si trovavano ad accorrere prontamente alla stazione di S. Andrea provocò una enorme 'impressione. 'Moltissimi furono pertanto i medici e i volonterosi che si presentarono alla stazione di S. Andrea e riuscirono ad imbarcarsi sul treno soccorso che era però a scartamento normale e pertanto potè giungere solamente fino agli oleifici triestini che sorgevano poco oltre la curva del Dazio. Devesi riconoscere che l'organizzazione dei soccorsi fu molto veloce. Lì 'infatti tutti furono trasbordati su capaci carri a cavalli nel frattempo convocati che rapidamente giunsero sul 'luogo del disastro, seguiti da molte automobili delle principali autorità, dei vigili del fuoco e di privati cittadini, per cui l'opera di soccorso fu rapida e ben coordinata. Fra i primi a giungere sul posto del sinistro fu il governatore Hohenlohe e 'le altre principali autorità. I morti furono trasportati a Muggia e i feriti nei più vicini ospedali. Nei giorni seguenti vennero rimossi i rottami ed asportati i vagoni e la locomotiva: venne ripristinata la linea ed il traffico riprese. Le varie commissioni d'inchiesta furono concordi ,nell'attribuire .1a responsabilità dell'incidente ad una raffica di bara di eccezionale potenza. Ma fatto che pochi mesi dopo venne dato il via alla costruzione dei famosi ripari antibora, fin dal 1908 progettati dal Ministero delle ferrovie, ma costantemente rigettati dai rappresentanti dei due Comuni maggiormente interessati, Trieste e Muggia, i quali temevano che con da costruzione dei ripari sarebbero peggiorate le condizioni del pubblico transito nei giorni di bora sulla strada adiacente 'alla ferrovia, timori che i tecnici ferroviari riuscirono a dimostrare infondati, fecero sorgere nell'opinione pubblica la convinzione, del tutto infondata, che fossero stati i morti e i feriti di quel tragico incidente a far decidere la costruzione dei ripari stessi. Tale autorizzazione era stata concessa circa sei mesi prima. Solo lungo protrarsi delle pratiche burocratiche per la assegnazione degli appalti avevano fatto nascere l'errata convinzione che solo quando ci scappa morto le autorità competenti si decidono finalmente ad intervenire. L'amministrazione delle ferrovie dello Stato che esercitava 'la linea Trieste-Parenzo (ricordiamo che questa era di proprietà privata) provvide al pronto risarcimento dei danni in buon danaro contante ancora durante la degenza dei feriti, molti dei quali, astutamente esagerando con alti lagni le conseguenze delle loro ferite, ottennero una liquidazione più alta del previsto. Ma se rapido fu il ritorno alla normalità, il luttuoso avvenimento, presto dimenticato dagli istriani, venne invece ricordato con puntigliosa puntualità dadi 'opinione pubblica di Trieste, tendente a screditare, anche ingiustamente, l'operato dell'amministrazione austriaca ogni qual volta se ne presentava d'occasione. Ancora oggi sono molti triestini che parlando della ferrovia Trieste-Parenzo la ricordano non già per la sua utilità e per gli indiscutibili anche se modesti vantaggi che essa ha portato a Trieste e all'Istria ma unicamente per dire con aria distaccata: «Ah, dl trenino che è stato rovesciato dalla bora!» Un analogo incidente, pure esso provocato dalla bora, era successo qualche anno prima su una linea uguale alla Trieste-Parenzo, quella che in Dalmazia andava da Spalato a Sinj, in una zona carsica aspra e deserta, gra:le ad un paesaggio lunare tutto rocce di un biancore abbacinante, dalle punte aguzze, dove tre carrozze simili alle nostre si erano letteralmente disintegrate rotolando sul costone roccioso. Si può facilmente supporre quale orrenda tragedia si sarebbe verificata qualora esse fossero state affollate di passeggeri come il nostro trenino 'in quel tragico 31 marzo 1910. GIULIO ROSELLI

Dal numero 1931

del 30/03/1976

pagina 101