il Grion PROFILI I fratelli Defranceschi. tra i pionieri del calcio - foto

Didascalie: Defranceschi I (Amedeo) nel marzo del 1931a Ferrara con i compagni di squadra del Grion (Prima Divisione) Defranceschi il (Egidio) nel 193,36 con la maglia del Grion (Serie C) Egidio Defranceschi, detto Cuco, nell'ottobrc del 1976 a Monfalcone I fratelli Defranceschi ci richiamano il periodo dei pionieri, cioè l'inizio degli anni venti, quando a Pola l'attività calcistica era vasta e rigogliosa nonchè ... incandescente. Basti pensare alle numerose società calcistiche, piccole o grandi, che svolgevano la loro 'attività in quel periodo (il F. G. Grion, l'A. S. Edera, l'U. S. Polese, il C. S. Internazionale, i Giovani Calciatori Polesi erano solo le più note). Nel 1921 si affacciò per primo alla ribalta calcistica polese Amedeo, cioè Defranceschi 1, mediano e terzino, nelle fila del Grion. L'anno seguente fu la volta di Egidio, cioè Defranceschi II, a scendere in campo con i colori dell'Edera, nei ruoli di ala o mezz'ala ambidestra. I due fratelli (del 1901 Amedeo, del 1904 Egidio) si distinguevano per grinta, generosità, potenza fisica, aggressività nonché per una non comune versatilità nei vari ruoli (terzini, mediani, attaccanti). Coriacei, decisi, a volte anche riottosi, le loro armi migliori erano il carattere e la forza fisica, mai vinti mai domi, mai tregua all'avversario. Impossibile pertanto attendersi da loro il tocco di fino. Due grandi combattenti, insomma. Dei due, Egidio era quello maggiormente impostato dal lato tecnico, tutto in senso relativo, ovviamente. Si trovarono riuniti nel Grion (in il Divisione) nel 1927-28, prevalentemente mediano Amedeo, prevalentemente ala Egidio. Poi quest'ultimo passò alla Monfalconese (I Divisione, poi Serie B) e vi rimase dal 1928 al 1932. Egidio riapparve nel Grion nel corso della stagione 1935-36, in Serie C, nei ruoli di mediano o ala di ripiego. Nella stagione successiva, l'ultima della sua attività agonistica (non voleva mai cedere neanche di fronte egli anni), giocò mediano laterale o centromediano, avendo conte compagni di linea Paoletti, Cazianca, Vucini, Fabbro, Urbani e Bino, e saltuariamente terzino sostituendo Curto o Tomi, i titolari. Il fratello aveva già smesso ... Ho incontrato il più giovane dei fratelli Defranceschi un pomeriggio d'ottobre a Monfalcone, dove abita. Per rintracciarlo ho dovuto ricorrere a un amico comune, il simpaticissimo e sempre più giovane Guerrino («Rino» per gli amici) Tagliapietra («400 piani e rincalzo del Grion degli anni trenta, solo qualche partita nelle riserve», mi racconta durante il tragitto che ci porterà a "Cuco" Defranceschi, «poi Zucca con il quale lavoravo mi impose di scegliere fra il calcio e l'atletica leggera e io optai per quest'ultima») che dopo un infruttuoso tentativo a domicilio l'ha scovato al bar detto della Gisella sulla Nazionale, intento alla partita di ramino. In veste di occasionali ... scocciatori l'abbiamo prelevato e portato a un tavolo vicino. "Cuco", volente o nolente, ha dovuto sbottonarsi. «Cominciai nell'Edera, nel 1922, poi andai militare a Roma, con Toncà Vojak, nel 1924 e nella stagione 1924-25 giocai per la Fortitudo di Roma nel ruolo di centravanti (Vojak, bontà sua, fu accaparrato dalla Lazio)». Antonio Vojak, il mio eterno pallino. Approfitto della rara occasione e sollecito "Cuco" in tal senso: «Era uno dei più completi giocatori che abbia mai visto. Non gli mancava niente, aveva tutto, velocità, tecnica, tiro, gioco di testa ... Proprio tutto. La sua caratteristica era la mezza rovesciata e il tiro raso-terra che finiva la sua corsa in fondo alla rete. Era da . . nazionale permanente, solo che aveva il nome esotico ("Provvidero a cambiarglielo più tardi, trasformandolo in Vogliani", interrompo io) ed era istriano, pertanto per lui, come per Ostromann, la nazionale era tabù... A proposito, dov'è?» — «E' morto, purtroppo, l'anno scorso, a Varese». — «Non lo sapevo. Mi spiace molto». «E come uomo, com'era?» — «Una pasta. Semplice, modesto, bonario. Uno che sapeva giocare al calcio come lui, un padreterno del pallone, avrebbe potuto darsi tutte le arie di questo mondo e invece ...» Egidio faceva l'elettricista, Amedeo, che abita a Marghera, il carpentiere. Anni duri. Si giocava al calcio anche per rendere più sopportabili certe sfasature economiche e sociali di quegli anni. «Come si trovò a Monfalcone?» — «Bene. Giocavo laterale e í miei compagni di linea furono, almeno il primo anno, Rigotti e De Biasi. Capitai alla Monfalconese per caso. Andai a provare a Bari e 111i0 fratello fece il provino nella città dei cantieri. Finì che mio fratello tornò a Pola e io presi il suo posto (con il Bari non riuscii ad accordarmi)». Il destino di tutte le cose. Parliamo di Giorgio Cidri, morto nel 1947 per un incidente d'auto a Milano (e non a Monfalcone, come mi avevano riferito). Prendo atto. Dice che era un bel giocatore, dalla tecnica sopraffina, «globetrotter» anche lui (Edera, Milan, Legnano, Brescia, Livorno, Monfalconese e infine Grion, ultima tappa) scomparso prematuramente e in maniera così tragica. «Perché lo chiamavano Cavo?» «E' un nomignolo affibbiato a mia nonna che abitava a Rovigno, perché aveva due occhietti piccoli come un cuculo. Il soprannome, poi, è rimasto, sa com'è ...» Lo guardo e a osservarlo bene noto che qualcosa effettivamente ha del volatile, gli occhi piccoli e un po' socchiusi, il naso adunco, la figura piccola e minuta. Al resto ci pensa la suggestione. «Segue il calcio, attualmente?» — «Al Cosulich vado poco, ma mi rifaccio con la televisione». Rino Tagliapietra approfitta di una pausa per comunicargli che la segreteria del Monfalcone (Serie D) ha ritoccato i prezzi degli abbonamenti, ma "Cuco" non appare per nulla preoccupato (e ha ragione). Al di là della strada c'è il nitido e dolce sorriso del sole autunnale che indora ogni cosa. Quale miglior occasione per immortalare l'immagine di Egidio Defranceschi, edizione 1976, sotto i raggi dorati con uno sfondo di foglie semingiallite? A casa poi la metterò a confronto con quella del 1936 (quarant'anni esatti, una quisquilia ...) e farò quasi fatica a conformarla. Il tempo passa per tutti e a volte è spietato. Salito in macchina e lasciata Monfalcone alle spalle penso che di Cuco Defranceschi ho ancora due memorie. Una recente che risale all'estate scorsa quando parlando di lui con alcuni ex grionesi lo sentii definire un «cattivo». Entriamo nel campo minato della cattiveria sportiva. Lo vidi più volte giocare al «Littorio» nel periodo 1935-37: era deciso, diciamo pure un po' duro nei contatti con l'uomo, ma un vero «cattivo» nel senso più stretto e vero del termine mi pare proprio che non sia stato. L'altra è più remota e risale proprio al 1936. Ultime battute di campionato (Serie C). Un tardo pomeriggio di un giorno feriale un gruppo di giocatori nero-stellati, finito l'allettamento, sostava nei pressi dell'ingresso del sottopassaggio per gli spogliatoi. Tra loro c'eretto Tomi, Corto, Brenco, la «speranza» Mangolini, Curo Defranceschi e forse qualche altro. Noi ragazzi eravamo al di là del recinto con gli orecchi bene aperti. La «speranza», che era in borghese e non aveva partecipato all'allenamento, un po scostata dal gruppo, fissava Defranceschi e sogghignava. "Cuco", invece, era serio e forse un po' seccato per qualche frase precedente che non aveva incontrato i suoi favori. Ad un tratto Umberto Mangolini chiese a Defranceschi: «Quanti anni ha?» (Gli dava del lei.) — «Trentadue». Al «baronetto» scappò un motto di sorpresa e un sorrisetio ironico. Cuco Defranceschi proseguì, sempre più serio e più seccato: «Un po' di rispetto, no?, per noi anziani, che diamine ...» E volse leggermente il capo verso i vecchi compagni di squadra quasi a cogliere nelle loro espressioni un cenno di assenso. Improvvisamente, nella quiete seguita alla puntualizzazione di "Cuco", si udì un «Cucu», ambiguo e beffardo. Ancora oggi mi chiedo se quel verso fu opera di qualche buontempone raffinato in vena di scherzi, di un cuculo che passò rapido sulle nostre teste o di una allucinazione uditiva collettiva. Quarant'anni non sono pochi e può darsi effettivamente che qualche lacuna mnemonica giochi un ruolo importante nella rievocazione di fatti o episodi remoti. Certo, a pensarci bene, qualche dubbio ce l'ho, anzi, a dire il vero, mi pare proprio di non aver stai udito quel verso, anche se, forse, ci stava tutto. Il resto, invece, è assolutamente conforme alla realtà. .,.

Dal numero 1962

del 09/11/1976

pagina 346