DIARIO TEMPO DI MIETITURA - foto

SI avvicinano i giorni della mietitura. Fluttuano ed ondeggiano le spighe del grano con un lieve fruscio di seta ed un balenar di verde. pa :ara collina degli ameni colli Euganei, che a Padova fanno corona, in uno di questi giorni dì giugno, stavo contemplando i verdi ed ubertosi campi che su di essi si adagiano e quelli che, quali variopinti tappeti, si distendono su tutta la vasta fertile pianura che a perdita d'occhio davanti a loro si protende. E, contemplando quel magnifico e stupendo quadro della Natura' un subitaneo pensiero si svegliò. nella mi« mente, e corse lontano nello spazio e nel tema.. Passata la «festa di S. Pietro«, al mattino, quando la luna colla sua falce scialba volgeva al tramonto e le stelle, ad una ad una si spegnevano in cielo e per ultima la Venera impallidiva, quando l'Alba veste un aureo velo e nn si tinge di Porpora Io !,orizzonte, quarulo tutto ride In cielo e gli augelli per Io lieto aere fari mille giri, una voce amorosa mi svegliava dal placido e proforulo sonno in cui ero immerso. Era la voce dello zio Andrea Leonardalli, che mi preparava a prendere nelle mie piccole mani di fanciullo la «faketta. (la piccola «sézola) per andare a mietere il grano. Io non Me lo lasciavo dire due volte e d'un balzo saltavo giù dal letto; acconciatomi per benino, col nonno, colla nonna e collo zio, vispo e lieto neincanurrinavo al campo. E questa dolce fatica, che rispondeva alle parole della preghiera cristiana: «dacci oggi il nostro pane quotidiano., la ripetei per due anni, finché non incominciai i miei studi classici nel glorioso Ginnasio di Capodistria. Posto piede nel campo ci si metteva con alacre Iena al lavoro, non senza avere data una occhiata di compiacimento e di allegrezza sulla solenne distesa del grano, tra il quale ancora faceva capolino qualche rosso fiore di papavero o qualche fiore azzurro di fiordaliso. Quindici giorni di grande fatica, specialmente quando il sole, che compie nel cielo suo maggiore arco, giunto al meriggio gettava i suoi raggi infuocati sulle nostre curve schiene ed il sudore irrorava le nostre fronti abbondantemente. Giunto il. mezzo., però un'ora di solennità immensa si preparava. I nonni e lo zio, rifocillatisi col parco desinare, oppressi dalla fatica, colla faccia rivolta al cielo, o rivolta alla terra, si riposavano o sotto qualche cnnbrosa pianta, o all'ombra di qualche grossa macchia incavata, a guisa di ombrello. Le cicale col loro frinire non disturbavano punto il loro sonno, mentre io, invece di riposare, andavo alla loro caccia, per essere poi solennemente sgridato da mio zio, quando si svegliava. Si ripreruleva il lavoro, dopo che il sole volgeva il suo corso ad occidente, ma ancora con implacabile calore ci accarezzava. La gran luce diffusa nel mezzodì si andava raccoglie.o in colori più aurei e si appressava il ve. spero. E mentre prima non si poteva fissarlo, a quell'ora si poteva rivolgergli uno sguar do fugace. E quando i suoi raggi venivano a trovarsi dietro qualche albero fronzuto, allora pareva un ostensorio cori 117. raggiera di smeraldi. La giornata volgeva al suo fine. Il grano era stato tagliato e posto a terra a «mandi, (i mane-11i) cine reni, vano poi raccolte ad una ad una e legate coi «sbalzi. (legacci fatti colla paglia di ségala) in orfane« ossia covo eri; poi al margine del campo il nonno li avrebbe allineati ed accatastati in modo da fare ara «tassa», ossia una catasta, colle spighe all'infilori, onde il sole percuotendole per alcuni giorni, maturasse 'e rendesse duri i granelli. Poi sarebbe arrivato il carro Sta quale sarebbero stati [...]

Dal numero 1329

del 26/06/1962

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