Un triduo Cosa vuol dire, Per noi, qualcosa come .la tre giorni e la tre
notti; il vocabolo, infatti, /Ungi dall'essere coniato da noi, era stato adattato (meglio sarebbe dire storpiato) per indicare con una certa .approssimazione settantadue ore di baldoria. Il buon ani, co Fulvio Monai, dopo avermene perdonate tante, me ne vorrà perdonare anche questa, se comincio cosi, in maniera tanto poco ortodossa ed »elevata» il suo «incontro». E, assieme al perdono di Fulvio, spero di ottenere il perdono anche della sua Adele, per averle rubato in questo momento il marito ed averlo riluttato, sia pure col solo conto, nella scapigliatura di dieci anni fa e passa (si —purtroppo— parecchi più di dieci). Ma per l'ottima Adele ho subito trovato la zolla di zuccherino: l'epoca alla qua, le mi riferisco corrisponde — stagione più, stagione meno — alla stessa di un certo viaggio da Gorizia ai bagni di Sistiana in corriera (non era un pullman, era proprio una sgangheratissima vecchia corriera, coi sedili in doppio, rivolti gli uni verso gli altri, il che costringeva ad Incrociare in qualche maniera le gambe; ed anche questo particolare ha la sua importanza). Ci siamo intesi?
Tra i riti di quel triduo, forse uno merita, più degli altri, una breve citazione. Non rammento più se fosse dopo la prima oppure dopo la seconda notte insonne, ma il quadretto è comunque questo: alba di un freddo (ma carnevalesco) mattino d'invento, nel vasto rettangolo di un disadorno ufficio, con mobili antiquati e con macchine da scrivere, ruderi della preistoria della meccanografia, a mo' di, tappezzeria. Sedie poche, di modo clic tre o quattro persone riescono a star sedute regolarmente; le altre tre o quattro stanno sedute per terra. Tutti aspettano senza impazienza, anzi, per la verità, qualcuno fuma, qualcuno addirittura dormicchia. Qualche altro racconta o corrono:la episodi curiosi o piccanti dell'appena trascorsa «baraccata» notturna. Ma senza vanteria; casi, a titolo di cronaca. Tanto, ormai passata. C'è però un desiderio, o meglio uno stimolo che accomiata tutti: quello della fante. Una notte bianca, infatti, non può che fare appetito, specie poi quando si è ancora giovani. Questo il motivo dell'attesa. Ma chi» st attende? E' presto detto. Si attende Fulvio che, alla lotteria del «veglione», poche ore prima, era stato fortunato ed aveva vinto una bella sfilza di «cragnolini», saporita catena di salsicciotti. I quali, per essere mangiati, hanno però bisogno di essere prima convenientemente cucinati. Ma ecco Fulvio che finalmente arriva, tenendo in mano im grosso pentolone caldo e !tonante. Sbuffa a dalla fatica perciò?, anche se la distanza da casa sua all'Ufficio dove ci trovavamo non era poi tanta, quel penzolane pesava maledettantente. Affogolii di soddisfazione salutano la sua entrata e tutti, solleticali dal buon odorino, gli si fanno intorno. Poi si accorgono che mancano i piatti e le posate. Fulvio se li era dimenticati (conte la penna e gli occhiali in redazione, tua questa è ordinaria amministrazione) a casa. Allora, a gran voce, tutti Io pregano di fare un'altra scappata a casa a prenderli. Egli sta per ripartire, ma poi ritorna sui suoi passi; no, non può, non se la sente. Noi vuole disturbare ancora i 5110, curi papà e nwluMia (oggi, purtroppo, ambedue scomparsi, ma ancora vivi nella nostra memoria per la loro tanta bontà), che già si erano svegliati, quando, poco prima, era andato per cucinare i salsicciotti e, naturalmente, aveva fatto precipitare a terra Un paio di pentole vuote, il cui sinistro rimbombo si era ripercosso cupamente in casa, nel cristallino silenzio del , mattino. Allora fu giocoforza rassegnarsi a mangiare con le titani la sfilza di cragno lini. Quadretto finale: una diecina o poco meno di alla nati che si contendono una catenella sgocciolante, tirandola da tutte le parti e facendo a gara a chi riesce ad impadronirsi del maggior nuutero di anelli.
Questo ricordo di gioventù non è certo il più adatto a definire, se non sotto alcuni particolari aspetti, il temperamento del nostro Fulvio. Ma può essere la strada per tentare di penetrare nel suo meraviglioso mondo spirituale. Perchè, in fondo, l'episo dio che abbiamo raccontato che cosa poteva rappresentare per lui, al di là di una fugace soddisfazione materiale? Soltanto la porta aperta verso un'evasione, cioè verso il vero pane di cui si nutre il SUO sensibilissimo animo. Adesso qualcuno dirà con malizia che dopo la presa in giro arriva la «lisciata». Non è vero. Si tratta, invece, molto più semplicemente, di una concatenazione.
la vita di Fulvio è falla, o meglio vorrebbe essere fatta
di evasioni. Evasioni nel seti so più puro, naturalmente, quelle che, sole, ci portano agli orizzonti sereni, ai cieli azzurri, ai ,orttatti diretti con la natura, con l'essenza stessa della nostra presenza in questo mondo, alla ricerca di un pò di risposte a quei tanti perche, che ci tormen. tano. Evasioni continue, ora ingenue e delicate, ora profonde e sconvolgenti, tipiche degli artisti che sanno essere sinceri imumzi tutto con se stessi. Fulvio è indubbiamente uno di questi, con le sue crisi ricorrenti, tra anche con le sue convinzioni radicate, connaturate nel suo stesso sangue, come il genuino amore che egli nutre sia per il mare che per la montagna. Ed è per questo che già un paio di anni fa ebbi così a scrivere di Moniti su di una nostra rivista milanese: «Uomo, prima che artista, dalla personalità semplice e complessa nello stesso tempo, e casi pure facile agli entusiasmi, ma giunto attraverso M4merose e sempre nuove esperienze ad una maturità completa e serena, Fulvio Monai è ormai "arrivato" idealmente al suo approdo spirituale. Non che, COI: questo, egli abbia espresso tutto se stesso; anzi siamo certi che molti passi egli dovrà e saprà compiere per conseguire in futuro affermazioni ancora più lusinghiere. Afa Fulvio Mortai è ormai definitivainente arrivato a percorrere la "sua strada".
Materializzando topografica-utente il concetto, Monai la «sua strada, di artista l'h., trovala, ormai, qui sul Carso.1 Coniando una facile frase, , tremo dire che «ha trovino la sua strada sulla sua terra», dopo di averla assimilata anche fisicamente, dimodochè un forzato distacco, oggi, sarebbe tanto doloroso come, per una pianta, la difficile operazione di essere strappata dal luogo dov'era nata e dov'è cresciuta e di essere trapiantata altrove. Ce lo conferma lui stesso: «Non Imo alcun problema, rià alcun ossequio da confessare a progranzmi di attualità. Nella realizzazione non mi irmai riuscito di ricorrere coscientemente al mio substrato culturale; mi sono sempre trovato solo con la mia fede nell'arte. Ed è questa fede che mi sostiene nell'espressione del mio mondo, assieme all'amore per lui Natura e per la sua segreta poesia, facile a supporre ma non a scoprire, che ha sempre confortato la mia giornata».
s
Dall'Istria, dalla sua Pola al Carso, alla sua Gorizia: abbarbicato alla sii« terra, ai suoi monti, al suo mare, senza alcuna morbosità, ma con l'amore intenso, infinito, che si può nutrire per lilla madre, per una sposa. Ecco perchè le sue evasioni» sono da collocarsi soltanto sul piano spirituale, come aspirazione di una sempre maggiore perfezione interiore, come desiderio di esprimere» sempre meglio i suoi ideali di uomo e di artista insieme. Del resto, questo nostro pensiero concorda perfettamente con quello ben più witorevole del critico d'arte udinese Anuro Martzatw: «Mondi appare delicato e sensibile, pittore puro, attaccato ancora per un filo al racconto naturalistico, ma già sul confine della visione astratta, dell'abbandono totale all'arida lirica. Il paesaggio sembra ormai essere soltanto un pretesto per l'incontro di linee rette, per l'accostamento di piani paralleli,' per il tessuto finissimo di colore disteso in smalti preziosi. Chi conosce Monai da anni, sa come egli sia arrivato per gradi, perseverando nelle lunghe ricerche, a questa pittura cui ha sempre aspiralo e per la quale ha saputo anche sacrificare una notorietà che non gli sarebbe stato difficile acquistare da tempo. E' una pittura conquistata, pensata, riflessa, ma oggi essa appare sgorgante direttamente da cm delicato sentire, da una vena di nostalgia e di malinconia, tanto sincera ed appassionata, quanto monda da artifici..... fa .purezza, artistica di Morrai «illumina. anche gli altri aspetti della sua vita e delle sue attività esterne, conferendogli, di quando inquando, quel tocco di candore e di ingenuità che viene prepotentemente a galla, dopo aver infranto dal di sotto, come un soMMergibile contro la banchisa di ghiaccio. la ero-sta animai dura dell'uomo maturo, esperto e decantato dalle molte late Morgane che ancora, in buona od in mala fede, riescono ad irretire tanta gente. Sono quelli i 'non:enti più belli, in cui W vediamo .tutto» e «tutto» lo possiamo apprezzare nel suo autentico valore di uomo libero. Perchè tali caratteristiche egli ce te mostra ampiamente ogni giorno, dato che ogni giorno abbiano l'occasione ed il piacere di incontrarlo nella «baracca» redazionaie, dove lavoriamo su due diverse macchine da scrivere, per eternare sul piombo o —come la lui — anche sulle onde della radio le cronache della piccola città. Ed anche nelle utile e tra i banchi della scuola, Mortai fa Professione quotidiana di libertà e di obbiettività di giudizio e di insegnamento, oltrechè di Pro-l'Onda cultura; e queste invidiabili doti egli sa profonderle con modernità di pensiero e di espressione nelle numerose conferenze e dibattiti, cui prende viva ed appassionata parte. Il suo contributo alla vita culturale della città è tra i più sostanziali e tra i più validi, anche perché
privo assolutamente di veli o di secondi fini. Non c'è infatti interesse materiale, di prestigio, economico o politico o di altra natura a «muoverlo»: c'è e resta solo, inconlantiruzlo e spontaneo, il suo valore. Questa prestigiosa personalità si tramuta poi (ed ecco il contrasto più gradito sul piano dell'amicizia) nel mai (no, è meglio chiamarlo di nuovo, adesso, il «Fulvio»), di parecchi anni fa, sedicto per terra, «triduo» imperve, sante, a contendersi i cragna lini, oppure il Fulvio che, as. sierne ad un altro amico, un po' matto come lui, se ne va a fare in bicicletta il giro delle Dolomiti; oppure il Fulvio che, sernipre ira bicicletta, assieme alla »clapa» degli amici trasporta sul manubrio, per le vie affollate del centro cittadino un sacco con dentro un giovanissimo suino, che guaisce disperato, conscio dell'imminente sacrificio stilla spiedo.
Sono passati, da allora, gli anni che sappiano, ma o scommetto che ancora oggi Fulvio ci starebbe ad un'altra edizione, sia pure rivedi,la e corretta, della scampagnata dolomitica e delle mangiate dei salsicciotti e dei nuda., da latte.
ANTONIO CATTALINI