Didascalia: La stanza del Palazzo di Levadija a Yalta dove furono firmati i protocolli; le cartelline poste sulla tavola indicano i posti occupati dai tre Grandi; sulla parete di fondo la foto dell'incontro
Yalta e stata l'inizio delle nostre disgrazie o, meglio, il luogo dove le nostre disgrazie presero corpo e furono ufficializzate. Mi incuriosiva il poter vedere i luoghi e gli ambienti dove tale crimine era stato consumato, gettando mezza Europa nell'oscurantismo e costringendola ad alimentarsi, per mezzo secolo, di comunismo. Era, insomma, come visitare l'aula del tribunale dove si era condannato un mar-tire del Risorgimento: meta interesse storico e metà sadismo. Finalmente, all'inizio dell'estate del 1990, mi capita l'occasione di sbarcare a Yalta: dico sbarcare perche vi arrivo proprio con una nave. Scendiamo a terra alle 14 circa, dopo aver superato gli ormai ridicoli sbarramenti doganali e di polizia: quest'ultima inizia la sua attivita ancor prima che la nave attracchi, impiegando due poliziotti saliti a bordo con il pilota di porto. Veniamo tutti suddivisi per nazionalità e ad ogni singola nazionalità viene indicato, secondo il numero dei componenti, un posto dove aspettare. Aspettare che cosa? Non ha importanza, basta aspettare. Nel frattempo ci vengono restituiti i passaporti (che avevamo dovuto consegnare già al mattino) pieni di bigliettini scritti in cirillico, che nessuno ha mai saputo a cosa servissero: uno rosso, uno verde ed uno grigio. Finalmente vengono aperte le porte che immettono al pontile di sbarco e, poco dopo, siamo a terra. Ma non e ancora finita: dobbiamo passare la sbarra della polizia, dove ci viene ritirato il passaporto personale assieme ai suoi cartoncini variopinti e consegnato, in sua vece, un passaporto standard, anch'esso scritto in cirillico. Cerco di giustificare tutte queste operazioni e l'unica spiegazione che mi sembra plausibile a quella di evitare che il passeggero, una volta sbarcato, non rimanga in Russia o, meglio, non si metta nelle condizioni di non reimbarcarsi più. E’, evidentemente, una spiegazione di comodo che, forse, potrebbe andar bene per un russo (ma con che senso), ma che nessun occidentale cercherebbe di mettere in pratica, nemmeno Ingrao o Cossutta! Passata la barriera della Polizia possiamo finalmente calcare il sacro suolo della grande patria russa. Mi aspetto di trovare una citta di mare, pulsante di vita come lo sono quasi tutte le citta di mare di questo mondo. Erronea supposizione. Sono in una tranquilla cittadina, immersa net verde, ma sempre coperta di quella patina di squallore che si riscontra in tutte le citta sovietiche che non siano Mosca o Leningrado. Nonostante la perestroika, la situazione commerciale è di motto peggiorata rispetto a quella riscontrata durante il mio ultimo viaggio in Russia di due anni or sono: negozi non ve ne sono o sono quasi completamente vuoti; i turisti, anche quelli di bocca buona come gli Italiani, non trovano nulla da comperare, se si fa eccezione di file interminabili di matrioske, prodotte industrialmente, o di qualche piatto di legno; ci viene anche mostrato con molto orgoglio, l'unico ristorante di Yalta che però guarda caso, è in restauro. La citta è rivolta totalmente a sud e sfrutta, in maniera ottimale, suo clima invidiabile (3° di temperatura minima e 27° di temperatura massima di estate) tanto da diventare il maggiore agglomerato, credo, di sanatori al mondo. Tutti gli Enti hanno costruito il loro sanatorio: i Sindacati (cosidetti), la Poste, le Ferro-vie, la Flotta Commerciale, l'Aeroflot, vari Ministeri, ecc. Naturalmente un clima cosi favorevole, almeno per l'Unione Sovietica, ha attirato sul posto non pochi papaveri di Mosca che vi hanno costruito le loro sontuose ville. In al t re parole, Yalta e una stazione balneare e di cura, conosciuta come tale sin dal 1860. Nonostante questa piuttosto lunga attivita di servizio, Yalta non possiede né un aeroporto né una ferrovia: rifornimenti vi giungono o via mare o trasportati su gomma.
Con una corriera locale iniziamo il giro turistico della citta o cittadina: è ben poco da vedere. Fortunatamente iniziamo con il Palazzo di Livadiya dove si tenne, dal 4 all' 11 febbraio del 1945, Ia famosa Conferenza di Yalta. II palazzo è stato, a suo tempo, proprietà dello Zar Alessandro II e, prima ancora, del conte polacco Potoski. I viali ed i vialetti dell'immenso giardino non sono stati certo dimensionati per i veicoli moderni ed e necessario procedere a piedi prima di giungere alla costruzione principale, chiamata anche palazzo Bianco. Ede effettivamente un complesso tutto bianco, si da sembrare di gesso: net vederlo non si sa se sia una scuola od un albergo e, a parte i volumi, fa ricordare un po' il nostro Liceo Carducci a Pola. La parte pin rimarchevole e, senza dubbio, quella esterna che e tutta occupata da un vasto giardino, ricco di fontane, di monumenti e di aiuole variopinte. L'interno del Palazzo, invece, 6 motto austero ed e rivestito quasi totalmente in legno. Per spostarci tra le varie sale ci vengono date da indossare delle soprascarpe in stoffa al fine di non deteriorare i pavimenti. La sala, ove fu perpetrato un dei maggiori esempi storici del XX secolo, non e molto grande. Vi son 12 sedie imbottite a fianco dei lati lunghi della tavola sulla quale sono indicati i posti occupati dai tre Grandi. Si, perché in quella Conferenza i Grandi furono soltanto tre: Stalin, Roosevelt e Churchill, essendo Ciang Kay Scek ormai fortemente impegnato con Mao Tse Tung e De Gaulle impegnato nel completamento dell'occupazione della sua Francia. D'altronde la Conferenza di Yalta era stata messa in pie-di per accontentare Stalin, che dai tempi di Teheran del 1943, voleva veder ufficializzato il controllo del l'Europa orientale da parte dell'Unione Sovietica. Doveva essere l'inizio, anche se inconsapevole, della guerra fredda!
Questa la sostanza anche se la storiografia ufficiale racconta che i tre Grandi si radunarono per prendere le ultime decisione sulle operazioni finali militari contro la Germania ed il Giappone. Nel nostro piccolo, anche noi Giuliani fummo, senza possibilità di appello, assegnati, con la Venezia Giulia, alla Jugoslavia, sulla quale avrebbero dovuto coesistere le influenza russa e britannica. Sembra, quindi, un paradosso che sia stato Tito a salvare le nostre terre dal comunismo russo: peccato che ci impose immediatamente il suo!
Sulla parete di fondo della stessa stanza e appesa una foto-ricordo dell'avvenimento: Churchill con Eden, Roosevelt con Byrnes e Stalin con Molotov. In conclusione questi sei gentiluomini (si far per dire) disposero a loro piacere di un'Europa totalmente alto sfascio e nell'assoluta impossibilità di reagire, condannandone almeno la meta a 45 anni del pin spietato comunismo. Ultima notazione che ha un po' il sapore di beffa: si arriva al Palazzo di Livadiya percorrendo il viale F.D. Roosevet: non ho, però, chiesto se tale nome è stato imposto al viale prima o dopo la perestroika.
Usciamo dal Palazzo e riattraversiamo il parco, l'unica cosa da ammirare nella squallida monotonia delle miserie sovietiche. A proposito del giardino, si dice che Churchill, dopo la firma dei protocolli, si appartò tra le piante e, fattasi portare una sedia, si mise la testa tra le mani a pensare su quanto aveva appena sottoscritto: pentimento, meditazione o preveggenza? lo mi sento come uno che e appena uscito dal cimitero; soltanto che quando uno esce dal cimitero si sente come schiacciato dal peso ineluttabile della morte; in questo caso mi sento come oppresso da un avvenimento, indubbiamente più forte di me, ma non altrettanto inevitabile. Ultimata la visita del palazzo di Livadija visitiamo le poche cose che ci sono ancora da vedere: Palazzo di Alupka, il Nido della Rondine, una miriade di sanatori (sempre quelli), tra i quali occhieggiano be molte ville dei satrapi di Mosca. Tutto il mondo e paese! Quando ritorniamo alla nave, manta ancora un'ora alla partenza: per ammazzare il tempo ci stendiamo sulle sedie del ponte, nell'intento di godere l'ultimo sole della giornata. Immediatamente veniamo coperti da una miriade di coccinelle: sono simili alle nostre (rosse a punti neri) ma soltanto più grandi (quasi il doppio). Ce ne sono dappertutto: tra gli abiti, nei bicchieri, nelle tazze, nelle pieghe degli asciugamani da bagno, nella borsa della telecamera, sui pasticcini del caffe, ecc. Cosi, dopo l'invasione dei barbari, delle cavallette e della mosca omicida, proviamo anche quella delle coccinelle: dove si posano sembra sia caduta una lacrima di sangue! Per Fortuna si sono fermate sui ponti. Entrano nella nave solo quelle nascoste tra gli abiti dei passeggeri: ma all'interno funziona il condizionamento e le clandestine muoiono di freddo. Visto che non si pu6 consumare né un te né un caffé, ci ritiriamo in cabina: ma anche qui bisogna fare una preventiva opera di bonifica.
Dopo cena salgo sul ponte-piscina ed assisto ad un spettacolo che farebbe inorridire qualsiasi ecologista: dopo l'invasione c'è il massacro. I marinai hanno ammucchiato le attrezzature del ponte e stanno lavando tutto, ben bene, impiegando le manichette antincendio. Dagli scoli escono acqua e coccinelle, anzi più coccinelle che acqua. Ciò nonostante, la mattina seguente, vi sono, ancora, delle coccinelle che passeggiano sui ponti esterni. Non ho mai saputo se, occultandosi giorno dopo giorno, qualcuna sari) stata capace di scendere a Venezia: se si sarà stata la prima coccinella a scegliersi e conquistarsi la libertà!
Claudio Fontanive