Fedeltà dalmata alla serenissima - Palazzo ducale accoglie a Venezia il libero Comune di Zara in esilio - Antonio Cattalini - foto

Palazzo Ducale accoglie a Venezia Didascali: La sala dello Scrutinio in Palmo Ducale gremita di dalmati Il Sindaco di Venezia ing. Favaretto Fisca e l'assessore prof. De Stasi alla Messa a S. Moise Venezia, ottobre 1963 LA mattina dopo il raduno dei dalmati sono ancora a Venezia e compere, due quotidiani ricchi, come al solho, di notizie a carattere nazionale ed internazionale e di cronaca locale. Con un certo nensismo, quasi presentissi qualche delusione, cerco qua e là la notizia del raduno del giorno prima. Ma possibile —mi dorata odo — che non abbiano messo nemmeno una riga? Con duemila persone che letteralmente gremivano Satelltnter,211,Cti...4' Palazzo Ducale, mentre un altro migliaio che non ce la facevano ad entrare per la legge dell'impenetrabilità dei corpi, stazionavano sparsi a chiaccherare sulle ampie scalinate e nel maestoso cortile? Si, possibile. -Purtroppo, oggi, è così. A casa di un amico veneziano mi sono presa poi la briga di sfogliare le pagine di cronaca dei giornali di quei giorni cd ho constatato che, per esempio, nello stesso Palazzo Ducale, ma in una sala molto più piccola; c'era stato pochi giorni prima un convegno di produttori di materiali refrattari; e la stampa ne aveva lungamente parlato. Ma non basta. Sempre sfee gliando i giornali del lunedì, cioè del giorno sto-seguente al raduno, leggo ampi resoconti della manifestazione svoltasi la domenica a So-Yes, una località del Piemonte, che fu vittima della barbarie nazista, con qualche centinaio di morti e tutte le case incendiate. Al Comune di Bovee il Presidente della Repubblica ha consegnato la medaglia d'oro al valor militare, presenti le rappresentanze di tutte le altre città decorate. Il riconoscimento è meri.tissimo, anzi sarebbe dovuto venire prima por -meglio esaltare i valori di Patria e di libertà che il sacrificio di Bovee aveva impersonato. Ma, a questo punto, come poter sfuggire ad un dolorosissimo confronto? Bovee e Zara: due città italiane, al momento dei tragici eventi che le colpirono. Ambedue distrutte, -l'una con alcune centinaia di morti, l'altra con alcune -migliaia, tutti cittadini italiani, sia quelli che questi. Poi la guerra finisce. Bovee resta italiana, viene ricostruita ed ottiene, con un ritardo forse non lodevole, la medaglia d'oro. Zara invece viene ceduta ad un altro Stato, resta distrutta o quasi, i suoi cittadini, per non perdere la Patria, vengono esuli in Patria. Chiedono — molto sommessamente, por la verità — che anche alla loro città sia concessa la medaglia d'oro alla memoria», un riconoscimento per quello che Zara fu e che oggi non è nè può più essere. La medaglia d'oro non è stata ancora concessa, ma non è questo, ancora, il punto che maggior-, mente ferisce lo spirito, che deprime, che prostra. Il punto un altro, cd è precisamente questo. I cittadini ancora vivi di quella che fu Zara ed i loro figli si raccolgono a migliaia nell'alveo più intimo di quella città che fu per secoli la loro Madre e Protettrice. Convengono cioè tutti nel Palazzo Ducale di Venezia, la Serenissima, la Regina dell'Adriatico, alla quale si sentono legati dal sangue di contenarie tradizioni. Sono tutti compresi del significato del loro gesto, che consiste nel ricostituire idealmente — per il significato che hanno — se ancora lo hanno — i valori dello spirito — il Libero Comune di Zara in esilio. Alcuni di loro, i più vecchi, hanno le lagrime agli occhi. Le ho viste coi miei occhi, quelle lagrime sugli occhi di persone anziane, dimessamente vcstite, giunte a Venezia di lontano, col treno, in seconda classe e non a bordo di macchinth tipertffracokr-erntfernt.co. Ebbene: quella cerimonia si svolge nel più completo silenzio; la vedono e la sentono solo quelli che vi par, cipano. Non un flash televisivo, non una parola alla radio, non una riga di giornale. Niente. Ma non basta, non basta neanche questo; e è cora dell'altro amaro da trangugiare! Gli unici che si sono accorti di noi, che ci hanno guardati e seguiti a vista sono stati gli organi di polizia. E non solo il giorno del raduno, ma già per parecchi giorni prima. Chi ve — tanto per fare un esempio — è stato quattro, dico quattro volte avvicinato a Gorizia e non a Venezia da guardie e sottufficiali di Pubblica Sicurezza e di carabinieri: volevano sapere i programmi dettagliati, i nomi delle persone che sarebbero andati, con quale mezzo avrebbero fatto il viaggio e quanto tempo si sarebbero fermati fuori sede. Non mi hanno chiesto, però, se avremmo portato via con noi bombe al plastico o manifesti rivoluzionari. Ma la domanda era là, sospesa per aria, come su di un filo te-fluissimo ed è rimasta inespressa, ondeggiante come un aquilone. Forse sarà stato un merito (od uno sforzo) di quei bravi sottufficiali che conosco da tempo e dai quali penso di essere ricambiato sul piano della stima personale a non farmela; ma me la sento ancora pesare addosso come un incubo, come il castigo immeritato di uno che sa di essere -statb punito per un reato che non ha commesso e la cui coscienza si ribella all'ingiustizia. Ed ora basta; basta sul serio e veniamo a parlare del raduno. Il tutto era incominciato il pomerigthu del salaaFtb;-28,~ibreMn urta riunione giovanile dalmatica, organizzata a cura del Gruppo Giovanile Adriatico di Venezia. La partecipazione era stata discreta e comunque superiore al previsto. Abbiamo annotato alcuni nomi, non tanto por i nomi in se e per se, quanto per l'indicazione delle località di provenienza: Roberto Trigari da Trani, Paolo Rismondo da Ancona, Ivo Vergada e Bruno Politeo da Padova, Wanda, Antonietta e Pierina Augenti da Lucca, Roberto, Ettore e Giorgio Benevenia da Brescia. A fare gli onori di casa c'erano le veneziane» Antonietta Zohar e Lucina Cecconi, nonchè il presidente nazionale dei Gruppi Giovanili Adriatici prof. Ugo Bassi. I concetti sostanziali emersi dalla riunione sono stati da una parte la ne-cessi. .1 superamento del disagio insito nei giovani i quali non possono vivere dei ricordi che non hanno della terra d'origine e dall'altra nella correlativa necessità di sviluppare sul piano pratico, sia generale che particolare, un programma moderno di continuità delle tradizioni o di contatti con l'Adriatico Orientale, nonchè di incontri i più frequenti possibili sul piano regionale cd interregionale, al fine di dare un contenuto alla vita delle nostre Thco urnit5711tTiiladdir'ale.1. sui simpatizzanti e su tutti coloro in grado di poter capire» qualcosa dei nostri problemi. Infine è stata presa -la decisione di organizzare e di partecipare numerosi, non solo dalmati, ma anche fiumani ed istriani ad un prossimo nuovo incontro a Milano re-visto per i primi di novembre. Alla riunione ha fatto seguito una coda» quanto mai gradita e riuscita: un'' ballo, anzi una veglia coi fiocchi, superaffollata di giovani, ma non disertata dagli anziani, durata sino alle ore non più piccole della domenica mattina nei locali del Circolo Ufficiali di Presidio, messi cortesemente a disposizione. Ed eccoci alla domenica mattina. Prima di nato una deposizione di corone d'alloro a cura del Libero Comune di Zara in esilio: sul monumento a Nicolò Tommaseo in campo Santo Stefano; sul monumento a Gugliemo Oberdan ai Giardini; sui cimeli di Nazario Sauro nell'atrio del Palazzo Comunale; sulla lapide della casetta rossa» di Gabriele d'Annunzio; e contemporaneamente, a Trieste in piazza Sant'Antonio sul luogo dell'eccidio del giovanissimo dalmata Pierino Addobbati, nei tragici giorni del 1953. Poi la Messa nella chiesa T`Sàfi'IDfo ebn—Pa,tal'ittiéta festa degli incontri e degli abbracci tra concittadini che vivono chi di qua e chi di là e che ìn quel momento si -ritrovano. Al rito interviene il Sindaco di Venezia ing. Giovanni Favaretto Fisca. termine, don Luigi Stefani racconta a grandi e piccini un'indovinata favola» che è la triste storia di Zar, la figlia» che torna a Venezia, la madre». Lentamente la gente sfolla dalla chiesa e raggiunge il Palazzo Ducale, dove, poco dopo, ha inizio la cerimonia ufficiale. Per primo, con voce ferma, Tullio Valle, porta il saluto degli zaratini di Venezia e del Comitato Organizzatore del Raduno alle autorità ed alle migliaia di convenuti. Afferma di aver trovato durante il non facile lavoro preparatorio massima comprensione e porte e cuori aperti». Poi prende la parola il prof. Mario de Biasi, assessore alla Pubblica Istruzione del Comune di Venezia. Nella sua voce c'è qualcosa che vibra sinceramente e che non è, assolutamente non è il solito, convenzionale saluto. Questo qualcosa» lo captiamo subito quando (I prof. De Biasi ci dice che ci troviamo nella Sala dallo Scrutinio, dove e, (c ce lo indica) un grande affresco del Tintomilo a rirofd" o 'Ma. CrtItPrs@erre. ciani a Zara contro gli inglesi; e poi quando ho-oca con brevi frasi il pianto dei dalmati nel maggio 1797 alla caduta di Venezia ed i gasi ni della Serenissima sotterrati a Perasto in attesa di tempi migliori; e poi ancora quando accenna all'amore della «Dominante» elargito e ricambiato dalle città dell'Adriatico; ed infine quando pone l'accento sul significato dell'incontro ideale della giornata nella luce di quella civiltà e di quei valori nobilissimi che trovano riconoscimento e consacrazione. «Venezia — conclude l'assessore De Biasi — vi da il suo benvenuto caloroso tra i suoi marmi gloriosi». Ma. come prima ci aveva trasmesso attraverso le vibrazioni della voce il palpito del cuore. tosi, quando termina, ci sembra che invece non abbia finito; ci sembra di udire anche quelle parole che la triste ragion di Stato» è riuscita a bloccare nella sua bocca ma che ci sono arrivate lo stesso attraverso la lunghezza d'onda di un millenario sentimento d'affetto, sorvolando d'impulso, come un'irrefrenabile onda generosa, le contingenze spesso meschine dei piccoli un-mini. ANTONIO CATTALINI (Continua in IV pag.)

Dal numero 1393

del 08/10/1963

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