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Didascalia:
Resti del l'antico castello . Orsera
Parete del castello con il poggiolo
Seconda parte
Della lunga serie dei vescovi conti di Orsera vanno ricordati almeno due: Ottone (1254-1280). passato alla storia per l'energia con cui amministrò i suoi beni e per aver innalzato il bellissimo ci. borio, tabernacolo o baldacchino marmoreo a quattro colonne, sopra l'altar maggiore dell'Eufrasiana; e l'ultimo, il vescovo Gaspare Negri (1740-1778). Questi fu un grande umanista, studioso dei classici e della Chiesa Parentina, in rapporto coi più eminenti uomini di cultura del tempo.
Di particolare interesse sono le sue lettere indirizzate ad Annibale degli Abbati Olivieri, pesarese, nelle quali si può scoprire la grande competenza del vescovo nelle lettere e nelle arti, ma si può leggere anche di quella che poteva essere la vita di Orsera sul finire del settecento.
Di questo lungo periodo storico ci sono ancora visibili e chiare testimonianze: i ruderi dell'antico castello, i mosaici della basilica paleocristiana (IV sec.) messi alla luce dal prof. Mirabella Roberti nel 1935, la bella chiesa di Santa Maria o Dell'Annunziata o semplicemente A Marina tutta in pietra, ora ricoperta di una patina bruno nerastra, alternata da candori che attanagliano il cuore e rasserenano l'occhio (qui attorno c'era l'antico cimitero), S. Fosca col suo campaniletto con l'occhiaia spenta (la campana requisita durante l'ultima guerra, è stata restituita dall'Italia a quelle autorità ed ha fatto la sua comparsa, con la bella scritta in bronzo fuso Ursaria», in una recente mostra al castello Montecuccoli di Pisino), S. Antonio con la Loza e S. Andrea fora de le porte. La primigenia parrocchiale di S. Martino, col suo campanile romanico non c'è più: c'è la la nuova chiesa, consacrata nel 1935 dal vescovo Pederzolli.
Lo spazio ecologico, come si dice oggi, è esaltato da una serie di scogli, or lunghi or tondeggianti, e di isolotti, tutti orlati da nudo calcare e con al centro un bel verde di flora mediterranea. Dallo Zontolo, a S. Giorgio, a Conversada sono una ventina abbondante. Di questi, i più belli cioé Conversada, la Longa e S. Zorzi erano di proprietà vescovile (nel 1500 S. Zorzi era affittato per 13 ducati). La bellezza di questo ambiente, anche se pericoloso per la navigazione, è unica e fu cantata in versi ed in prosa in ogni tempo. Il vescovo triestino Andrea Rapicio nel suo poemetto Histria del 1556 dice l'esperienza sua e di amici suoi in questo mare:
Ille autem fugientem undam sequiturque fugitque, Dum sequitur, fugit illa procul pernicibus alis; Dum fugit, haec rursus sequitur, mox fluctibus illurn Obruit, et totum perfundit tura inadenti.
Ast alii furtirn subeunt, quo densior horret
Umbra loco, dapibusque alacres epulantur opimis, Dum licuit laetae ibidem transegimus horas
Dulcia tranquillae complexi gaudia vitae.
(In semplice prosa si potrà dire che mentre, uno insegue l'onda fuggente e poi scappa: poi quando la rincorre, quella se ne scappa lontano con ali di pernice. E se poi torna indietro, l'onda all'improvviso riprende la corsa, veloce lo investe, bagnandolo tutto: altri s'inoltrano nel bosco dove l'ombra è più densa, furtivi a banchettar con ghiotti cibi. Così conclude il poeta, passammo affratellati in dolci gioie di vita tranquilla.)
Quanti di noi — istriani non avran giocato con l'onda del bel mare? Son ricordi dolci e sereni, indimenticabili.
Bellissima è pure la descrizione di quello che oggi si potrebbe dire un allegro picnic, una ricca merenda al fresco di ombrosi alberi; e mi ricorda, e gli Orseresi meglio ancora ricorderanno, quando per S. Giorgio si portavano con le barche sull'isola per la scampagnata a salutare con canti e balli, corse e girotondi l'inizio della bella stagione. Era in piccolo una festa del Redentore».
E su quei prati fiorivano leggende antiche e ricordi più recenti, legati alla vita dei campi, alla vita sul mare, al nome delle isolette e degli scogli. E perché Orada, Reverol, Galiner, Fighera, Orlandin, chiedevano i giovani? Ed i nonni soprattutto sullo scoglio Orlandin la sapevano lunga, perché viva era la tradizione istriana dei paladini di Carlo Magno, del prode Orlando che Carlo Magno ga volesto premiar e lo ga fato capitan de l'Istria e de Venezia come el più bravo cavalier de Franza. Anzi a Pola el ghe ga fato fabricar el teatro Zaro e anche el ghe ga fato far la Rena.» Nel suo errabondare il prode si sarebbe fermato anche sullo scoglio che ora porta il suo nome sfogando la sua Durlindana su quelle rocce, che ne portano i segni, dopo l'abbandono della bella Angelica.
Di queste liete, serene scampagnate, brillante favoleggiatore e brioso verseggiatore era sior Bortolo (Pertot), o meglio zio Bortolo, una faccia ilare, sempre pronto alla battuta, come lo ricorda la nipote Maria Rocco, che da ospitale proprietario dell'isolotto sapeva intrattenere giovani e vecchi, circondarsi di moredi e morede nei brillanti conversari.
Ida, una figlia del sior Bortolo, in nostalgici, lirici accenti ricorda quei giorni: Adulti e ragazzi estasiati di sì cara vision / sciolgono l'amato inno alla bell'Istria, / che, oh dolore, non più italica è / come non sei tu. caro scoglio, più in potere dell'antico padron.»
A novembre, in un dì di S. Martino che quell'anno fece più bella la sua estadela fui in questa terra per ascoltare, vedere, odorare. E fu l'incontro con una donna, una delle poche rimaste colà, che mi ravvivò il ricordo della grande ospitalità degli Orseresi con una frase: Mi stago qua, se la ga piazer la vegni drento». La casa è in riva al mare, tutta in pietra schietta. Ma non ha più nel suo interno il bel focolare col fuoco vivo. segno di vita, di amicizia, di umanità; anche qui hanno preso il sopravvento nuovi strumenti, ma la cordialità è quella antica, di sempre.
Ecco, pensai siamo ancora nella cara terra, -Feta est hic situs dicevano i Romani e non si sbagliavano: l'onda, un fiore, l'albero grande, il volo del gabbiano, lo zirlio del merlo, la melodia irripetibile dell'usignolo, la parola; cori, suoni, voci di un ambiente che all'anima parlano e raccontano di una storia che il contingente può obnubilare, non mai cancellare.
Mario Zanini