La grande guerra giorno per giorno Sotto il tiro dei cannoni - foto

Dalle didascalie originali: la pesca delle trote in Isonzo davanti alle linee italiane Dallo scacchiere italiano della guerra: attraversato l'isonzo da un reparto di telegrafisti Un goriziano, esattore delle imposte dell'imperialregio governo austroungarico, vede sconvolta la sua vita metodica e tranquilla di funzionario statale dallo scoppio della Grande Guerra. Figlio di agricoltori di via Lunga, e dedito lui stesso al lavoro della terra negli anni giovanili. si è costruita con tenace perseveranza una condizione di vita più agiata entro l'ordinato sistema dell'amministrazione austriaca. Si è formata la propria famiglia e si è impegnato a preparare per I figli un'esistenza confortevole almeno quanto la sua. Il dramma di Sarajevo interrompe il corso di queste sue speranze ed il figlio Tunin, ventiduenne viene chiamato alle armi e mandato sul fronte dei Carpazi. Allora il papà-funzionario si inserisce nella nuova realtà e avvia una corrispondenza di cui tiene nota in uno scrupoloso copia-lettere, cioè in una serie di quaderni in cui riscrive le missiva cui affida con immenso amore l'ansia di tenere viva la perduta unità familiare. Tunin è fatto prigioniero dai russi e portato a Tashkent. L'altro figlio diciottenne, Mario, viene chiamato per prepararsi pure lui al servizio militare. La famiglia si disunisce in un conflitto che distrugge un'epoca. X Il padre goriziano si preoccupa per i figli in armi, muovendosi però entro una realtà che è quella d'un fronte della guerra. Egli scrive da civile esposto al rischio quotidiano d'essere colpito da una granata. Tuttavia egli si prodiga per chiunque si rivolga a lui. Cosi il 5 agosto 1915 invia alla .signora santola Alessandra» a Windischgarsten la quietanza per la riscossione della pensione, da restituire con .il visto dei Comune e dell'Ufficio parrocchiale del luogo che comprovino la sua esistenza. conclude: «Cosi potremo aiutarci ogni mese per dare la quietanza. Il é agosto 'e il giovane Damiano a scrivere alla ragazza An geliva Canetti a Innsbruck: «lo me la passo con i figli degli addetti al Grill; si salta fuori e dentro le baracche depositate vicino alla nostra casa; ci sono molti soldati e buoni; passano in compagnie e vanno in trincea (Schuzengraben). lo ero lontano circa 20 metri dal luogo in cui è caduta la granata nel nostra Orto, Lo stesso giorno l'amoroso padre scrive una lunga lettera a Mario: «Se dovremo partire, sarà impossibile andare a Sellò. pae dalla zia Maria perché in caso di invasione nemica anche lei dovrà andarsene verso l'interno. Noi andremo a Lichtenwald dove sono i nostri ed altri di San Rocco. Ma spero che non occorrerà perché il nemico non arriverà a rompere il nostro cordone di ferro sostenuto dal nostro ammiratissimo esercito che nella punta avanzata di Gorizia è formato dai bravissimi dal. mali». Informa poi il figlio («tu ci domandi qualcosa da mangiare») che gli manderà un pacco di non più di 5 chili, perché di più non si può, tramite la posta di San Pietro. Torna quindi sul tema della guerra: «Qui si vive sotto il tiro dei cannoni; siamo già abituali e non ci si fa più caso. Una sera verso le nove passò davanti la nostra casa una compagnia dalmata della Landwehr n. 37 diretta alle trincee; restò indietro un caporale perché ferito a un piede in Serbia e forse non ancora completamente guarito; lo accogliemmo e lo abbiamo fatto dormire sul fieno; al mattino bevette il caffè con noi e ci ringraziò dicendo che da tempo non aveva dormito tanto bene. L'altra sera un altro giaceva sul marciapiede della Mischou e si contorceva e rimetteva. Lo abbiamo adagiato sotto il nostro portico; un caporale dei pionieri addetto alla croce rossa gli diede le cure del caso; dormì sul fieno e io Io controllai tutta la notte. Si alzò di buon'ora; stava bene; aveva soltanto un po' mal di testa: s'era trattato d'una balla con sette mezzi di birra. Era di Vienna, mentre il caporale era di Budapest. Pensa, sotto il nostro portico due soldati provenienti dalle due capitali. Oggi sono ve.. nati un calzolaio di Obcina e un sarto della Boemia a cucirsi qualcosa sulla macchina della Pierina; verranno ancora nei prossimi giorni. Io non sono più in servizio perché l'ufficio non funziona; però sono addetto alla commissione dei sussidi ai richiamati; perciò la paga mi compete lo stesso. Se la commissione non funzionasse più o se per qualsiasi motivo lasciassi Gorizia, dovrei presentarmi alla leva. E' per questo che io resto fino all'ultimo momento. Se poi mi toccasse di partire, franco del militare, vado a Vienna a occuparmi in qualche fabbrica di munizioni. Sono contento che leggi i giornali tedeschi, così impari la lingua. Siamo pure contenti che non ti perdi nei giuochi come gli altri, perché non sono questi momenti per giuocare e perdere soldi, bensì di tenerli stretti e spenderli solo nel bisogno. Nel caso ti trasferiscano a Pola (nulla ancora sappiamo dello supplica) hai un vestito decente? Se non ce l'hai, prega che ti lascino andare con la montura».

Dal numero 2172

del 10/01/1981

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