Campione di ieri - Elvino Tomasini - foto

foto Didascalia: Gino Colaussi, la prestigiosa ala sinistra della nazionale di Pozzo, rende onore al Grion ed alla passione per il calcio d'un tempo Sollecitato da Tomasini, ha preso quindi la parola l'ex nazionale e campione del mondo Gino Colaussi. «Ginutt» ha esordito dicendo che è sempre un innamorato del calcio, lo segue dalla tribuna (dallo stadio Grezar di Trieste, n.d.s.) e per televisione oltreché curando attivamente i ragazzi della Triestina di cui è il responsabile. Però si è detto francamene deluso del gioco d'oggi, troppo difensivistico, deturpato e inasprito dalle tattiche. Ha ricordato alcuni gustosi episodi della sua vita di calciatore, come quello che lo vide, poco più che quindicenne, andare a tornare da Trieste con il treno, con un paio di scarpe da ,foot-ball, avvolte da una carta, sotto il braccio. Gorizia -Gradisca, però dovette farla a piedi e quando arrivò a casa, con le scarpe rotte e le s'esci-che ai piedi, c'era il padre che lo attendeva per... lustrargli il sedere. Morale: stette un mese fra le pareti domestiche a sognare campi verdi di calcio e a meditare sul destino (a volte ingrato) degli uomini. L'altro, forse ancora più gustoso, accadde all'epoca in cui giocava per la Triestina in serie A (ci teniamo a precisarlo). Tanto per cambiare le casse della società erano malinconicamente vuote e gli stipendi — a volte, o diciamo pure spesso — tardavano ad arrivare. Colaussi e altri si trovavano frequentemente dal cassiere, il quale di regola, appena li vedeva, allargava le braccia desolato carne a dire: «Non c'è un saldo in cassa...» Un giorno il gruppetto, stanco di attendere così a lungo, si recò dal cassiere con intenzioni piuttosto... bellicose, ma questi dopo aver allargato le braccia più del solito, disse con un sospiro: «Se vi faccio veder la cassa, vedrete solo il fondo...» Allora Ginutt prese sottobraccio i tre o quattro postulanti e nell'andarsene sussurrò loro: «Adesso vedrete se tira fuori o no i soldi...» Scesero al pianterreno della sede adibita a ripostiglio o magazzino e Colaussi, scovato un materasso, un «paion», gli diede fuoco. Il fumo non tardò a salire al piano superiore e agli altri locali. i tre o quattro autori del pasticciaccio rimasero dietro la porta del magazzino, fazzoletto alla bocca, in attesa. Ad un tratto udirono voci concitate e un affannato rumore di passi dal piano superiore: «Aiuto, al fuoco, al fuoco...» «I soldi, dove sono i soldi?» «In cassa, là, presto!» ,E il cassiere, seguite, da qualcuno, si precipitò di corsa verso l'uscita, con una cassetta in mano. Ma al piano inferiore si trovò davanti 'Colaussi e soci. «Ah, non sapevi dov'erano i soldi? E quelli che cosa sono?» Il povero cassiere esibì ai tre o quattro birboni una faccia così mortificata che quelli lo lasciarono andare dicendogli solo: «Passeremo domani in sede per un acconto. Preparalo». Allo spiritoso (e anche un po' patetico) intervento di Gino Colaussi è seguito Memo Chincich, che ha chiuso la serie dicendo poche ma ispirate parole sul significato della riunione e la validità dell'assunto nel ricordo esaltante dello sport e in particolare del calcio polene e istriano. A un certo momento il buon «Memo» ha improvvisamente dato «forfait», proprio quando ci aspettavamo qualche ricordo (ne ha tanti!) o qualche aneddoto. Io azzardo una ipotesi: era non poco emozionato e forse gli è mancato il fiato per la volata finale, tanto per rimanere in gergo sportivo. Mi sbaglio? L'ingegner Alberto Durin, da Brescia, nipote di Ernesto Durin a cui è dedicato il libro, è venuto, ha visto e ha... vinto (veni, vidi, vici). Scherzi a parte, è venuto, ha visto tanti amici e tanti campioni ed è ripartito dopo aver acquistato 15 (diconsi quindici) volumi. Ecco un esempio da imitare. E poi, parliamoci chiaro, le persone intelligenti si vedono subito, che diamine. Comperare e far comperare, questo è 'l'imperativo (esortativo, benintesi). Chi scrive un libro e scriverlo costa non poca fatica, ve lo dice qualcuno che se ne intende) deve prepararsi a un'altra fatica in sede di presentazione o di divulgazione e cioè alle dediche che di solito vengono richieste da parte di chi compera il libro. Si può dire di no? Anzi gli autori fanno «le due righe» di buon grado con il sorriso sulle 'labbra. Quando poi vengono presi d'assalto (c) quasi) come nel mio caso il sorriso si smorza piano piano su due labbra pallide e il crampo (degli scrivani) incombe. Non nego però che alla fine uno può anche sentirsi soddisfatto. Non. so. Io, modestamente, lo considero un 'dovere nei riguardi del compratore, sottoscrivo (a ognuno una dedica diversa, ovviamente, a seconda del soggetto o dei rapporti di questo con lo scrittore) e sorrido (o cerco di sorridere). Elvino Tomasini

Dal numero 2137

del 10/05/1980

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