GIUSEPPE TARTINI Ricordi poetici istriani - ALFONSO FRAGIACOMO - foto

foto Siamo al secondo centenario del -trapasso, a Padova, di Giuseppe Tartini «illustre artefice elfi suoni» e nel quale l'Istria volle, possiamo dirlo, identificarsi, come l'attesta la scritta sottoposta al bel monumento di Antonio Dal Zotto che, nel 1896, essa volle erigere al suo grande e celebre figlio. L'istriano-triestino poeta dialettale Giglio Padovan, in una delle sue più classiche composizioni, volle dedicargli la seguente epigrafica iscrizione: «Giuseppe Tartini / -Piranese / Del terzo suono rivelatore / Dal fatato violino / Evocò / Stridori d'Inferno / E armonie di Paradiso». Lo fa, però, oggetto particolare d'una sua «Cantica», di tre Canti in terza rima, il di lui concittadino, dott. Giovanni Tagliapietra, che ne espone le vicende tristi della sua fuga da Padova e del suo ritiro ad Assisi, tra il 1712 ed il 1714. Con larghi e frequenti riferimenti ai versi del Tagliapietra, ne vogliamo narrare il suo allontanamento da Padova, dopo il simulato ratto di colei con la quale s'era segretamente sposato e che 'poi fu sua compagna per tutta la vita, il suo soggiorno ad Assisi e la leggendaria origine del famoso «Trillo dal Diavolo». Ed ecco, così «Per aspre vie, nel mezzo d'Appennino, / Smarrito e stanco in sul cader del giorno / Venia cercando asilo un pellegrino», ed era il nostro Tardali. Mentre sosta a riparo della pioggia dirompente in uno «...speco, d'onde la gigante / Alpe e i cupi burroni dominava, / pellegrino errante» pur così sfiduciato e derelitto, di tra la furia della burrasca «L'amore della vita in lui ridesta / Un altro amor; e tosto gli •sovviene / 'D'un -tesoro che solo ance gli resta / ... e le falde 'della cappa assembra / Per torre ai guasti quella cosa amata». E più che a riparasse stesso «Pel violino suo trepido 'sembra». Proseguendo il cammino, ,giungiamo anche noi assieme al Tartini nel convento ospitale d'Assisi, dove egli s'incontra con lo zio colà frate. Nel secondo canto, narra il piranese al suo buon congiunto le sue vicende 'padovane, fino a quando l'illustre e giovane amata, da lui consigliata «Velata, e all'alba dal patagio scesa, / Sotto la scorta d'un amico mio / Guidai l'amante a una solinga chiesa / Là ci giurammo fede innanzi a Dio, / Ne benedisse uniti un sacerdote; / Pieno fu il 'rito, pago ogni desio.» Ma poiché «D'onta e di sdegno fremono i parenti» ed il Tartini minacciato ed lin pericolo, consigliato dalla donna amata che gli fa dire di fuggire le insidie ostili, di cercar altro cielo e di nutrir «miglior speme»: «Compagno assunto il mio fido strumento, / Non visto uscii dalle Antenorie porte» e «Così per questa balia bella en-ai». Al finire del suo pietoso racconto, buono zio lo presenta agli altri suoi confratelli, tra i quali egli visse per due anni, traendo gran profitto dalla guida affettuosa d'uno di ossi, dal padre Czernohorsky, più noto, per la sua patria di origine, come padre Boemo. Infatti «Sublimi d'armonia norme ,preclare / Da Fra Boémo attingere qui puote; / Mentre al suono dell'organo sposare / Seco solea melodiose note». Talvolta usciva, rivestito dal saio francescano e «... cinto dell'•mile capestro / a vagheggiar libera, intera, / La bellezza dell'itale contrade». Ma «Col mesto imaginar spesso ritorna / L'esule ai dolci suoi lidi nativi, / E col desio tra' cari suoi soggiorna. / Là di vigneti e sempre verdi ulivi / Ridon le piaggio, e placida frescura / Portan dal mare i venticelli estivi. / Ecco! la torre, il tempio e raffigura / In cima al colle, e su l'angusto lido / Pirano cinta di merlate mura. / Commosso ei risaluta il dolce nido / In cui, vago fanciul, lieto crescea / Al cielo in grazia ed ai parenti fido. / Salir sovente al duomo egli solea, / Caldo d'affetti vergini e beato / delle speranze cui Calma schiudea. / Là, poi che avea devotamente orafo, / Nell'ultima del giorno ora serena / Guardava ai luoghi, ond'ora innamorato. / Vasta si svolge la stupenda scena; / S'alzano le nevose Alpi nel fondo, / Giace Aquileia infra deserta arena. / Il cielo mite, limpido e giocondo, / Simile a immensa volta di zaffiro, / Si specchia dentro al mar terso e ,profondo / Per l'ampio sinuoso golfo in giro / Volge ei lo sguardo ai colli d 'oriente / Là dove l'acque increspa un lieve spiro; / Ed ecco! imporporarsi al sol cadente / La villa avita, cui baciano l'onde / Tra verdi chine e la vallea silente. / Là di Strugnan su le sfrenate sponde / Ei saluta il delubro di Maria / Che nel turbo ai nocchier speranza infonde». A questi ricordi giovanili, nostalgici al par di quelli d'ogni nostro esule «Che fan sì cara la terra patria», nelle sue peregrinazioni fuor del convento, il Tartini aggiunge quelli dei suoi soggiorni veneti e di Padova, non scompagnandoli da «... l'odio suo vetusto / Contro i superbi, ingiusti e violenti» colpevoli del suo esilio. Il 'secondo canto si chiude coi versi pacificanti: «Dal tetracordo allor sveglia uno stuolo / D'eterei canti e d'armonie celesti, / Cui le corde temprar -puote egli solo; / Né più sente i mortali odii funesti». Nel terzo canto del bravo Tagliapietra, ha fine l'isolamento del Tartini tra i frati in Assisi, non solo, ma nella sua ispirata -rima dantesca, il poeta piranese vi narra la leggendaria origine della Sonata del Diavolo o più propriamente del «Trillo del Diavolo», col quale titolo è ricordata l'unica rimembranza rimasta a Tartini del suo strano sogno. Apparso al violinista istriano, il Diavolo, nonostante le di lui proteste, afferra lo Stradivario prezioso ed a lui rivolto, grave esclama: «Al tuo cospetto in me Satana vedi / Che al suon -ti sfida, e di rivai non pave. / Per poco il 'tuo strumento a me concedi, / Ond'io farotti udir tal sinfonia, / Qual tu non pensi, né -possibil credi». E per una buona dozzina di terzine, da par suo, il poeta si fa a descrivere gli accordi tratti dal violino tartiniano dall'arte del demone violinista che, finito «...l'ardito suo concerto», così favella all'istriano: «con un sogghigno: / Sorgi! alla gloria io t'ho l'arringo aperto. j Eccoti illeso il musicale ordigno; / E, sei verità dir non ti grava, / Dirai che in arte io non ti fui padrigno». Destatosi dal musical sogno «Egli ratto impugnò l'arco fatale / A svolgere le arcane melodie, / Creale dallo spirito infernale». Riconosciuto dall'amico fedele ch'era giunto in Assisi per il perdono «Perdono segue Didascalia: Il leone di San Marco a Pirano»

Dal numero 1694

del 18/03/1970

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